Un libro che mancava. Sulla figura di Adriano Olivetti (A.O) e sulla azienda Olivetti tra gli anni del dopoguerra ed i diversi periodi successivi alla sua morte esiste una letteratura vastissima. Si è molto studiato l’A.O. imprenditore, l’A.O. intellettuale e politico, l’A.O. urbanista, l’A.O. editore e promotore di cultura ed altro ancora. In questo quadro le vicende del Movimento Comunità sono state analizzate soprattutto sotto il profilo politologico, quale movimento fondato da A.O. ed ispirato alle idee da lui espresse sin dal 1945 ne L’ordine politico delle Comunità, con un programma volto ad opporsi alla partitocrazia e allo stato centralista, a vantaggio di una concezione federalista incentrata su comunità territoriali ampiamente autonome ed autogestite. Molto si è discusso (e si continua a discutere) sulla visione che sosteneva una siffatta concezione, visione che troviamo espressa, ad esempio, in termini pieni di pathos profetico nelle seguenti parole:
«Quando le Comunità avranno vita, in esse i figli dell’uomo troveranno l’elemento essenziale dell’amore della terra natia nello spazio naturale che avranno percorso nella loro infanzia e l’elemento concreto di una fratellanza umana fatta di solidarietà nella comunanza di tradizioni e di vicende».
Le tante critiche di utopismo hanno cercato di seppellire le idee del Movimento, senza neppure porre attenzione a come A.O. avesse tentato di dare ad esse forma concreta.
Il libro di Giuseppe Silmo porta a conoscenza di tutti noi quali concrete iniziative hanno animato la implementazione di tali idee, e lo fa con un testo scorrevole, articolato in agili schede più che in corposi capitoli; un testo ricco di dati fattuali e di citazioni di testimonianze anche inedite; il tutto corredato da immagini che ci restituiscono il lato umano di una vicenda in cui il vento della Storia, negli anni cinquanta, ha attraversato i borghi del Canavese, e, soffiando con minore intensità, anche altri territori italiani.
La prima concreta serie di realizzazioni presa in esame è quella dei ‘Centri Comunitari del Canavese’, intesi come centri di azione sociale operanti nei piccoli comuni, volti a sostenere, attraverso la partecipazione della gente, una più ricca vita associata e una ‘consapevole esplicazione della persona umana’.
«I centri – scrive l’autore – diventano non solo un luogo d’incontro aperto e indipendente per le persone del luogo, ma anche uno spazio per l’espressione libera delle loro idee e per l’organizzazione delle attività, per la formazione culturale e politica aperto a tutti. Proprio per questo non furono mai delle sezioni di partito …».
È interessante leggere nel testo quali erano le attività svolte dai numerosi Centri che fiorirono in Canavese sino a toccare nel 1956–1957 ben 76 comuni:
«L’attività culturale – con l’istituzione di biblioteche e la notevole circolazione di riviste tecniche e culturali è il primo impegno dei Centri. In media ogni centro arriva ad avere almeno un centinaio di libri, anche con titoli in francese, inglese e spagnolo. Ci sono anche biblioteche specializzate per ragazzi e teatrali». Ed ancora: «Il ventaglio di attività praticate a partire dal settore culturale – spiega uno dei testimoni di quella esperienza – comprendeva, oltre all’analisi della politica locale e nazionale, corsi di lingua straniera, professionali (taglio e cucito, steno-dattilografia, ecc.), proiezioni di filmati e audizioni di musica, dibattiti su temi a richiesta introdotti da esperti della materia».
L’esperienza di impegno delle persone nei Centri Comunitari portò con frequenza all’esperienza di amministrazione nei comuni, dalla quale nacque l’attivazione di strutture consortili tra comuni diversi, la realizzazione di opere pubbliche ed altro: si saldarono in tal modo la dimensione culturale e quella di amministrazione della cosa pubblica. Se si tiene conto del fatto che le donne e gli uomini che frequentavano i Centri erano in larga maggioranza contadini ed operai, si comprende bene come l’idea che guida la loro realizzazione sia la promozione a livello locale di forme di partecipazione democratica e come non possa esservi democrazia senza un sufficiente livello di cultura ed una soddisfacente occupazione lavorativa. È quasi commovente osservare la foto (pagg. 22-23) che ritrae, davanti al Centro Comunitario di Cuorgnè, l’8 maggio 1955, festa della Donna, un gruppo di una trentina di ragazze e giovani signore, sorridenti nei loro cappottini da mezza stagione, che festeggiano la fine del corso di cucito su macchine per cucire Necchi: sembrano – per dirla con il titolo di un libro di A.O. – guardare con fiducia ad ‘un mondo che nasce’.
Cessata con la morte di Adriano la spinta propulsiva che da lui veniva, molti centri quasi subito si spensero. È interessante tuttavia osservare che alcuni di essi continuarono proficuamente ad operare, come nel caso del Centro di Palazzo Canavese che – come si spiega nella scheda ad esso dedicata in qualche modo ancora vive perché è ritenuto dalla popolazione e dall’Amministrazione Comunale un patrimonio e un punto di aggregazione irrinunciabile.
La seconda parte del libro è dedicata all’implementazione, al funzionamento ed ai risultati ottenuti dall’I-RUR, l’Istituto di Rinnovamento Urbano e Rurale, un’esperienza che testimonia chiaramente come A.O. fosse consapevole che lo sviluppo del binomio ‘Uomo e Comunità territoriale’ avesse bisogno non solo di una grande azienda internazionale come la Olivetti, ma anche di un tessuto economico fatto di piccole realtà industriali e da una più moderna rete di attività agricole. In riferimento al suo statuto – riportato in una preziosa sezione finale del testo denominata ‘Documenti Comunitari’ vengono spiegate le modalità finanziarie e quelle tecnico organizzative di funzionamento dell’I-RUR ed i suoi rapporti con il Movimento Comunità.
«Lo scopo – spiega l’autore – era quello di promuovere nei paesi del territorio nuove attività industriali e agricole, con l’obiettivo, da una parte, di combattere la disoccupazione nell’area canavesana e, dall’altra, di scongiurare l’inurbamento di quelle popolazioni a Ivrea. In quegli anni, il Canavese, infatti, nonostante la presenza in continua espansione della Olivetti, viveva un momento di pesante crisi del settore tessile con la chiusura di parecchi stabilimenti».
Si cerca in tal modo di rivitalizzare il rapporto città-campagna, nell’ambito di un’urbanistica di territorio che fu una componente importante del pensiero di A.O.
L’I-RUR svolgeva dunque funzioni – diremmo oggi – di incubatore d’impresa e di agenzia per lo sviluppo territoriale; il tutto secondo una logica non mercantile, ma di ampliamento, crescita e valorizzazione delle motivazioni e delle competenze presenti nella comunità locale, in coerenza con quell’idea economia sociale di mercato che è stata sempre la bussola del pensiero e dell’azione di A.O. È in questo senso illuminante il vagheggiato schema di ‘pianificazione comunitaria’ che troviamo nel libro (pag. 67). Si spiega che:
«La pianificazione comunitaria – in cui convergono, sotto il controllo democratico, le forze della cultura, del lavoro e della democrazia concreta, rappresentata dai comuni e dai centri comunitari, le risorse della tecnica moderna – adempirà in un grandioso e dinamico quadro d’intervento, l’aspirazione più profonda e vera della società contemporanea. il raggiungimento di una condizione di vita più alta ed umana…».
Il funzionamento dell’I-RUR era garantito da generose sottoscrizioni economiche da parte del Movimento Comunità e da sottoscrizioni volontarie, nonché dal fondamentale apporto professionale di tecnici distaccati presso l’Istituto dall’azienda Olivetti.
«Nel 1960, dopo la morte di Adriano, con l’avvento di una dirigenza in gran parte contraria all’attenzione al territorio, i prestiti dell’I-RUR vengono bloccati» Il ché però non significa la morte di tutte le iniziative avviate dall’Istituto.
Anche se il libro di Giuseppe Silmo si sforza giustamente di documentare come le iniziative di pianificazione comunitaria volute da A.O. abbiano avuto luogo anche in numerosi territori italiani, il lettore canavesano troverà di particolare interesse le schede che danno conto delle iniziative promosse dall’I-RUR nel proprio territorio. Vale la pena menzionarle: la Cantina Sociale della Serra; il Consorzio Produttori del vino di Carema; il Consorzio Volontario Irriguo “Adriano Olivetti” di Cossano; i Vivai Canavesani di Colleretto Parella; la Cooperativa Agricola di Montalenghe; la Cooperativa Avicola Canavesana; il Laboratorio di Vidracco in Valchiusella; Olyvia Revel; I.C.A.S. S.r.l.; Motori Baltea; Manifattura Valle dell’Orco; Bairo S.p.a.
«Il lascito sul territorio – scrive l’autore è ancora importante: quattro attività agricole su sei sono tutt’ora operanti (Cantina della Serra, Cantina dei Produttori di Carema, Consorzio Idrico Volontario di Cossano, Hortilus Vivai Canavesani) e un’attività industriale è tuttora presente, la ICAS, che ha raggiunto livelli di eccellenza a livello internazionale. Realtà economiche che testimoniano ancora una delle più felici intuizioni di Adriano Olivetti».
Il libro, proprio attraverso la documentazione di tutte queste storie aziendali, troppo poco conosciute, apre uno spazio importante di riflessioni sul tema della Responsabilità Sociale di Impresa, stimolandoci a mettere tale concetto al riparo da facili retoriche e mere esigenze di immagine, per estenderlo alle responsabilità sociali che un’impresa dovrebbe avere verso il benessere proprio territorio. Sarebbe interessante, tra le altre cose, approfondire, in quelle realtà aziendali create dall’I-RUR che ancora operano in Canavese, quanto sopravvivano i valori olivettiani. Speriamo in una nuova fatica editoriale di Giuseppe Silmo.
Giuseppe Silmo, Adriano Olivetti e il territorio; dai Centri comunitari all’I-RUR. [Busalla], 2022; 222 p.- ill., ritratti, carta topografica