Loccioni, il futuro arriva in auto. Ma emette solo vapore acqueo.
Le nuove frontiere dei ‘sarti della tecnologia’, una piccola-grande impresa olivettiana delle Marche.
di Domenico Coviello
Memorabile l’estate 2025 della Loccioni di Angeli di Rosora (Ancona), che al G7
del 2024 il Governo ha indicato ai Paesi ospiti come un esempio di successo
imprenditoriale italiano nel mondo. Sì, perché l’impresa marchigiana – leader
internazionale nella produzione di sistemi di controllo e collaudo industriale di alta
qualità – ha presentato a fine giugno i suoi Hydrogen Nomadic Labs. Si tratta di
“una piccola hydrogen valley dove l’idrogeno viene prodotto, stoccato e utilizzato,
in un ecosistema tecnologico alimentato interamente da energia rinnovabile”,
spiega l’azienda dalla sua pagina Facebook.
Ed è proprio grazie a questo idrogeno verde che Loccioni ricarica la sua prima
auto fuel cell. Ossia un’automobile a zero emissioni inquinanti. Meglio: a emissioni
‘sane’: emette soltanto vapore acqueo. Nella narrativa aziendale, estremamente
importante per questa impresa olivettiana, la prima auto fuel cell è il simbolo di
una nuova era che si apre.
Ma rappresenta al tempo stesso la voglia di giocare d’anticipo sul futuro. “Produrre
e stoccare grazie al sole e all’acqua, che sono beni comuni, un vettore energetico
così importante può essere una spinta alla valorizzazione delle aree interne –
afferma in una nota il fondatore Enrico Loccioni -. Il secolo della carbonizzazione
ci ha dato benessere con l’energia fossile. Questo sarà il secolo della
decarbonizzazione, dove valore, innovazione e lavoro arriveranno da energie
pulite.”
Loccioni, una ‘intrapresa’ di ‘sarti’ per immaginare il futuro.
Enrico Loccioni, classe 1949, figlio di contadini, si è ispirato ai valori familiari e a
quelli dei monaci benedettini della sua terra per dar vita nel 1968 alla sua azienda,
pardon, impresa, fatta non da dipendenti ma da “collaboratori” che sono al tempo
stesso “intraprenditori”. Perché “l’impresa è un bene comune” e non si basa “su
rapporti gerarchici ma sulla fiducia”. Il suo modello è infatti la Olivetti di Adriano
nella misura in cui il capitale più importante è quello umano: le persone che
lavorano accanto a lui, con l’intento di realizzare una comunità che pensa,
progetta e crea.
Una comunità che realizza sistemi di controllo di alta qualità. E per questo al G7
l’Italia l’ha presentata come l’azienda dei “sarti della tecnologia”. Auto, aerei, treni
o sistemi energetici, così come i farmaci, il cibo che mangiamo e l’aria stessa che
respiriamo sono testati in vari Paesi del mondo tramite sistemi di controllo
Loccioni. Che fra i suoi clienti principali vanta colossi quali General Electric,
Ferrari, Samsung Medical Center, Cleveland Clinic, Enel, Toyota, Leonardo, E.On.
L’impresa ha dato vita anche a una casa editrice, la Desiderio Editore, proprio
come Olivetti fece con le Edizioni di Comunità. La dirigente Maria Paola Palermi
ha presentato al Salone del Libro di Torino dello scorso maggio l’ ’ultimo nato’: La
terra e le idee – Enrico Loccioni e l’impresa come bene comune, di Mario
Bartocci. Un’immersione nella vita di un uomo che è l’anima stessa di questa
impresa di “sarti della tecnologia”. Nato e cresciuto “sopra una stalla”, in una casa
senza luce né acqua corrente, a 15 anni Enrico comincia a sfornare idee efficaci
per migliorare la qualità di vita della sua famiglia. Ed è così che dai primi impianti
elettrici in campagna alle sfide internazionali, si è sviluppato un modo diverso di
fare impresa, le cui radici affondano nella terra marchigiana e nella sua cultura.
“Quando penso al futuro penso a ciò che un prete di campagna mi diceva tempo
fa – è una delle massime preferite di Enrico Loccioni – : siamo tutti usufruttuari su
questa terra ed è importante che quando ce ne andiamo lasciamo le cose un po’
meglio di come le abbiamo trovate”.
‘Noi siamo 2068’: il decalogo che più olivettiano non si può
Per lasciare una traccia occorre progettare. Innanzitutto pensandosi nel futuro: di
qui a cinquant’anni. Ecco perché nel libro La terra e le idee, che rappresenta
anche un ‘manuale’ su come si può fare impresa oggi, è riportato Noi siamo 2068:
il decalogo-manifesto della Loccioni in vista del centenario dell’impresa che si
celebrerà appunto fra 43 anni. Un traguardo ancora lontano? Ad Angeli di Rosora
lo sentono già prossimo. E così ricordano nel primo ‘comandamento’ come
“L’impresa è un bene sociale, che genera lavoro, ricchezza e identità nel territorio.
Non è solo proprietà privata ma bene comune: non c’è impresa senza territorio,
non c’è territorio senza impresa.” Qualora non fosse abbastanza chiaro, al quarto
‘comandamento’ del decalogo-manifesto si precisa che “Il lavoro è per la persona,
per realizzare la propria identità e felicità. Le persone sono il valore più grande.” Il
decimo ‘comandamento’ è ultimo solo in apparenza, perché sembra scritto da
Geno Pampaloni per Adriano Olivetti: “L’impresa semina bellezza”. Andatelo a dire
ai governi e alle multinazionali del petrolio, del gas e dell’energia. Possibilmente
ricordando loro che è cominciato il secolo della decarbonizzazione. Repetita
iuvant.