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La Missione Incompiuta di un Analista di Sistema
Per un’interfaccia tra sistemi sociali e tecnici
Luigi Bertuzzi

82 anni il 23 luglio 2022.

Al CERN dei primi anni dell’informatica nel 1969, da laureando in fisica dell’Università di Bologna, per capire come superare gli ostacoli, economici e culturali, che impedivano ai ricercatori di sezioni locali dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare [INFN], di elaborare grandi quantità di dati prodotti dagli esperimenti che si potevano fare solo a Ginevra e di condividerne scopi e risultati.

Ancora al CERN nel 1971 e nel 1973, come Analista di Sistema del Centro di Calcolo Interuniversitario dell’Italia Nord-Orientale [CINECA – allora calcolo elettronico – oggi anche intelligenza artificiale], per contribuire a fare evolvere [1970 – 1977] un processo di intermediazione cognitiva tra comunità scientifiche territorialmente distribuite e informatica.

All’ECMWF – allora solo in UK – oggi anche a Bologna [European Center for Medium Range Weather Forecasts] dal 1977 al 1983, come User Support System Analyst, per contribuire ad avviare e fare evolvere un ruolo di interfaccia umana per la gestione di un processo di progressivo adeguamento dei sistemi informatici richiesti dalla meteorologia europea per gli obiettivi condivisi da centri nazionali non solo europei.

In Olivetti Systems & Networks, dal 1983 al 1989, con il compito di tentare il trasferimento del ruolo di Analista di Sistema, come approccio alla definizione di una strategia di supporto al progetto manifatturiero per lo sviluppo di una Open System Architecture europea distribuita [OSA – presentata a Londra nel 1987], alternativa all’accentrata System Network Architecture [SNA] di IBM.

Una testimonianza, leggibile come racconto postumo del fallimento di quel tentativo, e delle successive occasioni perdute di prevenzione dei conseguenti danni sociali, richiede il superamento di ostacoli di tipo comunicativo, purtroppo di difficoltà ormai insormontabile per chi l’ha vissuta come esperienza esistenziale, ignorata dal sapere costituito.

Per farsene un’idea ci si può esercitare a capire come coinvolgere interlocutori nel tentativo di fare evolvere una bozza di pagina web, che metta in evidenza la relazione tra le occasioni perdute, durante gli anni 90, e l’attuale evoluzione incontrollata della dimensione digitale della realtà quotidiana.

La memoria di quegli anni, potenzialmente utile a una ricerca retrospettiva [“traceback” per l’informatica] delle cause di errori di sistema [sociale], è stata alimentata anche da esperienze maturate come lavoratore autonomo [partita iva], a prematuro sostegno di una non comprensibile ipotesi di creazione di un Ambiente Aperto di Sistema: 1993 – quando politica e industria negarono all’AUTONOMIA DIGITALE di essere la meta di un DIALOGO OPERATIVO tra Sistema Sociale e Sistema Tecnico.

Un prova d’uso di una piattaforma sociale, decentralizzata e open source [non proprietaria], andrebbe valutata come potenziale stimolo all’avviamento di un processo di aggregazione di interlocutori, disponibili al coinvolgimento in iniziative per la creazione di ambienti [territorialmente] distribuiti, nei quali assumere ruoli cooperanti come

  • utente di piattaforme “non proprietarie”,
  • mediatore cognitivo [traduzione/localizzazione e traSduzione, cioé stimolo all’interoperabilità tra sistemi eterogenei],
  • sviluppatore/integratore di soluzioni informatiche.

La gestione della relazione tra i ruoli sopracitati fu attuata negli ambienti inzialmente costituiti per abilitare comunità scientifiche all’uso dei computer e al loro progressivo adeguamento in termini funzionali. Le “piattaforme” di calcolo elettronico erano “proprietarie” ma per la comunità di utenti i loro sistemi operativi erano “aperti” all’effettuazione delle modifiche richieste dalla necessità di adeguarli a specifiche destinazioni d’uso.

Per il trasferimento dell’assetto organizzativo di quegli ambienti alla società civile, allo scopo di tutelarne l’autonomia da un’evoluzione di piattaforme digitali al servizio primario di interessi politici e di mercato estranei, questo curriculum si è dimostrato “incompiuto”.

Tra gli ostacoli che non fu possibile superare si possono elencare, in ordine cronologico:

  • la mancata percezione, per la formazione di competenze informatiche, dell’esistenza di aspetti “umanistici”, complementari agli aspetti “tecnici”, significativi solo all’interno di ambienti “di gestione della relazione” tra progresso cognitivo e sviluppo strumentale, sul modello anni 70 della Divisione per il Trattamento dei Dati del CERN [Data Handling Division]
  • l’assenza di competenze utili a percepire l’importanza degli aspetti umanistici per l’evoluzione organizzativa degli ambienti costituiti sul modello del CERN, come il CINECA e l’ECMWF
  • l’impossibilità, per una risorsa umana, di rendere comprensibile in un ambiente manifatturiero, come la Olivetti Systems & Networks, l’esistenza di una relazione tra “sistemi aperti”, “comunità” e “territorio”, senza l’aiuto esterno di una collaborazione Università – Industria sul tema “informatica distribuita”
  • la decisione della Commissione Europea di stimolare l’evoluzione dell’ICT [Information & Communication Technology] con il finanziamento di progetti di sviluppo prodotti conformi a specifiche OSI [Open System Interconnection], adottando una postura percepita come chiusura al mercato dei prodotti “accentrati” dell’IBM
  • le indicazioni di percorso suggerite alla Commissione Europea dai consulenti inglesi, dopo il passaggio della loro ICL sotto il controllo di FUJITSU, senza interventi di politiche nazionali alternative, che ne evidenziassero i limiti e i rischi per la condivisione di un obiettivo europeo di unificazione

il tempo necessario per rendere consapevoli decisori politici e istituzioni, sulla necessità di porre un freno all’evoluzione incontrollata delle tecnologie del metaverso, superiore alla durata di una singola esperienza esistenziale, come questo commento all’annuncio del libro “Adriano Olivetti e il Territorio. Dai Centri Comunitari all’I-RUR” cerca di fare intendere, a chi volesse e potesse raccogliere il testimone per procedere “verso una meta” di Autonomia Digitale della Società Civile.

 

 

Comments

  1. Totalmente d’accordo.
    Mancano le piattaforme università-ricerca-industria.
    Manca una visione filosofica-umanistica della tecnologia informatica.
    Grazie

    1. Manca la consapevolezza che quelle piattaforme, se ci fossero, dovrebbero essere nate analogiche per decidere collettivamente e progressivamente come essere anche digitali.
      Una lezione che il passato non ha potuto insegnare alle istituzioni.

  2. Commenti come quello di Michela permettono di concludere che la “missione incompiuta” è, per la realtà sociale creata “costruendola” su piattaforme adatte a farci sopra supermercati e governi autoritari, ormai “impossibile”.

    Per una eventuale “analisi post-mortem” lascio un profilo “mastodon” con una versione revisionata dell’esperienza di un “analista [mancato] di sistema [sociale assistito da architetture informatiche di mercato]: https://mastodon.uno/@casarayuela

    1. Ciao Luigi,
      I see you are still active staying up to date what is happening in your Olivetti world.
      Greetings from San Francisco and Marianne from CERN in the 70’s. Stay well there in Italy.
      Marianne

      1. Ciao Marianne,
        I am still active trying to understand how problems – raised by what could not happen in my short time with Olivetti – could be fixed by my Italian inmates 😉
        If my memory of the 70ies at CERN serves me right, you should be 10 or 15 years younger than my old self.
        Enjoy the SF Bay!
        All the best from the Dolomites,
        Luigi

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