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Nota della redazione

L’apertura dell’archivio storico di Mediobanca e l’articolo di Paolo Bricco sul Sole24Ore di domenica 17 novembre 2019 che sostiene, sulla base dei verbali depositati in quell’archivio, che la crisi della Olivetti sia nata negli anni ‘60 a causa dall’impossibilità dell’azienda  eporediese di sostenere contemporaneamente il finanziamento dell’acquisizione della Underwood e quelli necessari per lo sviluppo dei progetti nell’elettronica, hanno aperto un dibattito appassionato. Alessandro Chili espone una interessante tesi in una lettera che volentieri pubblichiamo. 

Cari amici,

                   chiarire la verità storica sul perchè e come Olivetti sia uscita dalla elettronica è indubbiamente una priorità e mi pare che gli elementi a questo riguardo ci siano tutti. Olivettiana fa benissimo a diffonderla per quanto possibile.

Non sono in grado di contribuire su questo piano perchè i miei diciassette anni in Olivetti li ho passati in attività molto operative senza frequentare più di tanto i piani alti, e comunque già al mio ingresso tutto questo era già successo.

Tuttavia, tra i molti “perché” che ancora sono senza risposta ne vorrei aggiungere uno, che i colleghi bolognesi mi hanno spesso sentito ripetere: perché parliamo solo di Elettronica e Meccanica quando l’asset più importante di Olivetti dopo la P101 era la Rete Commerciale formidabile che aveva costruito, sia in Italia che in molti Paesi chiave?

Perché la Rete Commerciale non è stata pensata separatamente dai destini industriali ma è stata obbligata a seguirne le sorti senza che si pensasse ad una sua valorizzazione indipendente? Perché si è investito tanto sulla Rete (tre Centri di Formazione internazionali di altissimo livello, e una impressionante attività d’aula) per poi non considerarne il valore quando avrebbe potuto servire moltissimo?

La mia personale risposta è che la cultura industriale lo ha impedito, ma è solo una ipotesi, a cui aggiungerei volentieri qualche domanda più esplicita a quelli che hanno tirato giù la serranda. Tuttavia è singolare che di questo non si parli mai come se fosse un dettaglio o una conseguenza inevitabile

A mio avviso non era inevitabile, Olivetti avrebbe potuto valorizzare la propria rete commerciale indipendentemente dalle vicende industriali, si sarebbe dovuto probabilmente renderla indipendente, farne magari una Azienda separata che vendesse anche, o soprattutto, prodotti non propri. Non intendo prodotti OEM, quelli li avevamo, intendo proprio una Rete di Distribuzione che sarebbe stata in grado di vendere un ampio spettro di prodotti di altre Aziende. Penso alla Telefonia, alla Domotica, e anche ai negletti mobili per ufficio, al Software (le “App” di terzi le avevamo già con i P6040 e 60), alla Sicurezza, tanto per fare qualche esempio. E’ chiaro che poi le piattaforme On line l’avrebbero sicuramente ridimensionata, ma pensiamo cosa sarebbe stata una 
Olivetti.it dove poter acquistare tutto quello la Rete distribuiva (con assistenza)

Invece  la disperata ricerca dei volumi di cui le fabbriche avevano bisogno ha determinato negli anni ’80 un dissennato dumping tra le varie Consociate che ha distrutto la Rete, a cominciare da quella più preziosa: i Concessionari

Oggi il valore del posizionamento commerciale di una Azienda è quasi sempre più importante del posizionamento del prodotto, e questo Olivetti lo aveva brillantemente intuito quando aveva inventato i flagship store, aveva prodotto una comunicazione eccellente (vedi mostra in corso alla Fondazione Cirulli), aveva elaborato raffinatissimi gadget per la propria clientela e aveva inventato modalità uniche di intervento sul Territorio (di cui si parlerà al prossimo convegno del 14 Dicembre a Bologna)

Purtroppo non si è capito che il pendolo dell’equilibrio tra Prodotto e Rete stava velocemente oscillando verso quest’ultima, e il vantaggio competitivo del prodotto era scomparso. Succede sempre, uno inventa una cosa e poi la fanno tutti, ma noi avevamo un vantaggio competitivo che è stato buttato via da un’ottica industriale totalizzante. Tante Aziende hanno cambiato radicalmente mestiere per sopravvivere a momenti di difficoltà valorizzando le cose che sapevano fare bene, Olivetti ha pensato di saper fare bene i prodotti e si è dimenticata che sapeva anche vendere benissimo, magari anche prodotti non suoi.

Diceva Drucker che la Cultura si mangia la Strategia a colazione, e temo che sia stato abbastanza vero anche nel nostro caso.

Io penso francamente che sia stato un gigantesco errore manageriale, ma è naturalmente solo una opinione. Sono tuttavia  convinto che la vicenda Olivetti, che ancora per fortuna ci appassiona, debba fare anche i conti anche con questo aspetto e che possa essere un capitolo di indagine molto utile alle nuove generazioni, non ovviamente nell’attribuzione di responsabilità, quanto su una analisi serena del perché una cultura aziendale così peculiare non ne abbia avuto la visione.

Ciò naturalmente non toglie nulla al dibattito mainstream Meccanica/Elettronica, aggiunge solo una prospettiva di indagine sui fatti successivi che non ne sono necessariamente stati la conseguenza (meccanica mi verrebbe da dire)

Cari saluti

Alessandro

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