Paolo Volponi è una gloria di Urbino. Un testimone autorevole della sua vocazione culturale. Una città romana, presidio agricolo murato, poco distante dalla Flaminia, l’autostrada che porta a Roma capitale. Nel Medioevo, grazie al monachesimo, Urbino diventa anche un centro di spiritualità e di cultura. Il Convento di San Francesco è il luogo di formazione dei frati di tutta l’Italia centrale. La premessa del suo Rinascimento, un polo di attrazione europeo nel campo del pensiero, dell’architettura, della pittura, delle lettere. Ancora protagonista nel Settecento-Ottocento, nei secoli degli Albani, che riagganciano gli interessi culturali alla agricoltura, alle miniere, alla nuova economia dell’industria che proviene dal nord e centro Europa. La città rientra nel dialogo culturale europeo, nel Novecento. Con l’Università, con la Grafica, con l’Arte, con la Religione, con le Lettere e con la Politica. Con due grandi personaggi: il Rettore Carlo Bo con il suo Letteratura come vita e Paolo Volponi, con la sua poesia e i suoi romanzi che aprono una luce nuova sul sociale, sul mondo operaio e, di riflesso, sulla democrazia e sulla giustizia.
Maria Laura Ercolani ripercorre nel suo libro il lungo e accidentato percorso di Paolo Volponi. Partendo dalla sua movimentata esperienza all’Olivetti. Adriano Olivetti fu un capitano d’industria illuminato e quindi innovativo che voleva uscire dal mantra neoliberista che si stava imponendo nel secondo dopoguerra, che premiava (con il profitto) il capitale e gli azionisti e quindi sbilanciato sugli industriali. Senza creare valori per l’insieme delle realtà sociali, ambientali, culturali dei loro protagonisti: classe operaia, quadri intermedi e quindi governance delle aziende. L’autrice ricostruisce con diligenza, documentata precisione e con affetto, l’originalità di Volponi, tra i primi a cogliere agli albori il predominio della finanza sui prodotti del lavoro e sui processi da seguire per arrestarne la tendenza, per dare risposte sane a quella che considera una sfida epocale alla quale non si possono dare solo risposte aziendali. Che Volponi denuncia già dalle prime esperienze olivettiane, confidando in scelte diverse, possibili con il contributo della scienza, della tecnica, dello sviluppo economico del boom industriale, del progresso delle idee. Sedotto dalle teorie economiche che spiegano che il fine ultimo per cui lavora l’economista politico sta nel perseguimento di una maggiore benessere collettivo orientato a movimentare i meccanismi sociali, volti a richiamare l’attenzione degli imprenditori, dei politici, degli intellettuali. Era il pensiero di Giorgio Fuà che ha lavorato con Adriano Olivetti, orientato dal suo pensiero e dalla sua concezione imprenditoriale, definita da Fuà “profetica, da utopista pragmatico” fondando con quell’idea, la facoltà di Economia e commercio all’Università di Urbino, con sede in Ancona, e poi l’ISTAO (Istituto superiore di Studi economici Adriano Olivetti) per la formazione di imprenditori nelle Marche. Sorprende che questo economista non sia presente nell’epistolario di Volponi. Eppure, era un economista di fama internazionale, consulente dell’IMI, della FIM/CISL, della CGIL e a fianco del sociologo Gunnar Myrdal alla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite e poi all’ENI di Enrico Mattei. La differenza tra Fuà e Volponi sta nella differente considerazione dell’Adriano Olivetti sognatore. Il primo lo inserisce nel filone tecnico riformista, l’altro, per la forte vocazione civile e sociale, segue l’aspetto rivoluzionario della democrazia dal basso. Infatti Volponi, dopo l’esperienza alla Fondazione Agnelli (che l’Ercolani inquadra molto bene) ha deciso di alzare il tiro, trasferendo il suo impegno nel campo politico, consapevole che “la democrazia non si può imporre, né proporre, né insegnare”. Deve crescere per propria forza, dal basso”. Una costante che Volponi non abbandona mai e con la quale entra in politica, lasciando la primitiva affezione repubblicana per il marxismo, del partito comunista prima e poi quello più radicale di Rifondazione comunista. Anticipando tematiche ancora centrali al tempo nostro, come il rispetto dell’ambiente, lo spreco delle risorse economiche, le discriminazioni razziali (oggi fondamento delle tesi di papa Francesco). Deluso anche da Rifondazione comunista “che ha ceduto in tutto alle vecchie suggestioni degli apparati e dell’interesse di partito”. Così la figura di questo grande urbinate che ha movimentato la letteratura nazionale del Novecento, ed è nell’orgoglio permanente dei suoi compaesani, rientra nella definizione precoce espressa da Pier Paolo Pasolini di “marxista lirico” e nei commentari di Carlo Bo che, nella recensione de “Le mosche del capitale” lo definisce “un uomo libero, un libertario insofferente delle categorie e di quanto fa della vita, un calvario di umiliazioni e di sopraffazioni”. O quanto rileva nel “Sipario ducale” lo spirito anarchicheggiante che gli viene in primis dalle sue origini, dalla sua terra, dalla sua prima educazione”. E così nel libro “Vent’anni di Diario poetico”, nel quale “c’è dentro tutto, la campagna, l’esperienza della fabbrica e dell’industria, i viaggi, certi paesaggi, ma soprattutto la luce e la vita dell’Appennino che costituiscono la vera patria di Volponi”. Ed anche in “Corporale” Bo scrive che “il poeta Volponi ha facilmente il sopravvento sul pensatore, anche perché la poesia resta il suo rifugio”. Il Magnifico Rettore Carlo Bo nel presentare il suo primo libro di poesie nel 1948 (Volponi aveva 24 anni) scrive “C’è nella poesia di Volponi una forza, un segno, una violenza naturale che nessuno potrebbe trascurare: mi sembra, continua Bo, che non convenga sottovalutare una esperienza così libera e nello stesso tempo così puntualmente giustificata. Certamente il gesto più evidente della sua voce è determinato dalla forza, dalla libertà del suo atteggiamento: però si badi bene, non si tratta di un’ambizione esteriore ma di un dato legato alla pronunzia stessa dell’anima”.
Seguendo questa indicazione, gli studi e le riflessioni sulla produzione letteraria di questo straordinario poeta di Urbino e dell’Appennino, vanno continuati sulla traccia di questo bel libro di Laura Ercolani. Anche partendo da più lontano. Dall’infanzia e dalla prima formazione di Paolo Volponi nella famiglia, nella scuola, nella Fornace di Laterizi tra gli operai e in mezzo all’argilla rovesciata dai camion, alla ricerca di scarti di terrecotte o maioliche che fin da piccolo destavano la sua curiosità. O più tardi, nell’adolescenza e nella giovinezza, quando conobbe i primi risvolti del fascismo e della guerra partigiana, quando i suoi coetanei utilizzarono il vecchio camion della sua Fornace per partecipare alla guerriglia di liberazione sui monti dell’Appennino.
* Già docente di Storia Economica alla facoltà di Scienze Politiche e di Storia del Movimento Cooperativo di Credito alla Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Urbino.