Giuseppe Silmo Nato a Ivrea nel 1941, nel 1966 inizia all’Olivetti come commerciale zonista a Torino e finisce 33 anni dopo, come Area Manager per l’Africa e il Medio Oriente. Nell’intermezzo, lavora ad Ivrea nel Marketing Centrale, ricopre poi diverse posizioni di Marketing, Sales Manager e Purchasing Manager. Nel 1994 è nominato Project Coordinator del progetto Europeo per il Retraining degli Ufficiali dell’Armata Rossa. Obiettivo: la formazione di 16.000 ufficiali (formati 17.000) a posizioni manageriali nella vita civile. Laureato in Scienze Politiche e poi in Storia. Laurea che lo porta a condurre una ricerca su un convento nel paese dei suoi avi, La storia della Trappa, e poi sui mille anni dello stesso paese, Sordevolo e la sua Storia. Scrive una trilogia sui prodotti Olivetti: MPS Macchine per scrivere Olivetti e non solo. Memorie di un venditore di macchine per scrivere, con la prefazione di Laura Olivetti; MDC Macchine da calcolo Olivetti e non solo. Natale Capellaro, il genio della meccanica; Olivetti e l’Elettronica, Una storia esemplare, a cui fa seguire il libro che ha ottenuto il maggior successo: Olivetti. Una storia breve e infine: Adriano Olivetti e il Territorio. Dai Centri Comunitari all’I-RUR. Scrive, di argomenti olivettiani, sul «Notiziario delle Spille d’Oro Olivetti», su giornali locali e su pubblicazioni on-line.

Adriano e la sua statua, opera di un grande scultore italoamericano

 Giuseppe Silmo

Per anni ci siamo domandati chi fosse lo scultore della grande statua di San Francesco, posta proprio di fronte alla tomba di Adriano Olivetti e ora anche di sua moglie Grazia Galletti, nel cimitero di Ivrea.

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La tomba di Adriano Olivetti e Grazia Galletti al cimitero di Ivrea. (Fotografia Ugo Proserpio)

Ora, grazie a Enrico Sargentini, ingegnere assunto da Adriano, a cui è stato a fianco per tre anni fino a quel tragico 27 febbraio, diventando amico della famiglia, si è finalmente sollevato il velo sullo scultore e sulla storia completa della statua. Un tassello importante che ci mancava e un interrogativo che ad ogni occasione di visita si riproponeva.

L’autore dell’opera non poteva che essere uno dei grandi scultori dello scorso secolo: Beniamino “Benny” Bufano, che Sargentini conosce personalmente nel 1962 a Forte dei Marmi, quando lo scultore si reca a Pietrasanta per approvvigionarsi di materiali per le sue sculture. Nato a San Fele, in Basilicata, il 15 ottobre 1890, e morto a San Francisco il 18 agosto 1970. All’età di tre anni emigra con la sua famiglia negli Stati Uniti. Passa la sua gioventù a New York, dove studia alla Art Student League sotto la guida di scultori famosi, che assiste anche nei loro lavori. La sua opera di scultore la svolge soprattutto a San Francisco, di cui diventa cittadino onorario e dove Insegna al San Francisco Institute of Art, da cui presto però viene sollevato dall’incarico, poiché considerato troppo moderno; insegna poi al UC Bertkley, al Oakland’s California College of Arts and Crafts,

I materiali con cui lavora sono ceramica, pietra, rame, acciaio inossidabile, calcestruzzo e mosaico, che talvolta combina tra loro.

Gran parte della sue numerosissime opere sono destinate a essere esposte negli spazi pubblici e molte di esse sono dedicate ai temi della pace e alla concordia interetnica e culturale. Tuttavia, molte delle sue opere hanno anche come soggetto animali nello stile minimalista americano di quegli anni: orsi, bufali, rane, ma anche pinguini, foche, leoni marini, di cui alcuni esemplari esposti sulle spiagge nella zona della Baia di San Francisco prospiciente al Golden Gate, fanno bella figura venendo scambiati per gli originali. Nei punti più panoramici della stessa zona sono esposte molte altre sue opere.

Il suo concetto di arte pubblica è che deve essere democratica e “abbastanza grande per appartenere a tutti quanti, troppo grande per chiunque per metterla nel portafoglio e chiamarla sua”. Il ruolo dell’artista è per lui quello di combattere la crescita del fascismo e della guerra.[1]

Bufano è conosciuto soprattutto per i suoi monumenti legati ai temi della pace, di cui alcuni di grandi dimensioni. Alcuni dei più significativi sono riportati di seguito:

– L’obelisco intitolato The Expanding Universe o Peace, in calcestruzzo, piastrelle di mosaico e legno di sequoia, alto 28 metri (iniziato nel 1962 e finito nel 1970 pochi mesi prima di morire), che svetta su un promontorio a Timber Cove, sulla costa del Pacifico, a Nord di San Francisco. Modellato a forma di missile, in protesta alla guerra e alla crisi di Cuba, è decorato all’esterno con motivi che richiamano la pace e l’amore: la Madonna, i bambini del mondo, le colombe e una mano aperta.

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– L’altro obelisco, Universal Child del 1965, in acciaio inossidabile a forma di missile, alto 30 metri, vicino al municipio di Santa Clara in California, commissionato dal sindaco nel 1962. Ispirato dalla crisi dei missili cubana è dedicato alla pace del mondo e all’armonia. Alla base della scultura, un mosaico con le facce dei bambini di tutte le etnie che promuovono la pace.

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The Hands of Peace, una grande mano in rame, con mosaico sul palmo della mano e vetro colorato tra le dita, alta 9 metri, del 1967. Interamente modellata con il martello, per più di cinque anni, senza l’utilizzo di fiamme o stampi. Il mosaico raffigura un gruppo di bambini delle varie etnie del mondo. Sopra di loro la scritta: “The children of the world shall inherit the earth” (“I bambini del mondo erediteranno la terra”).

Il monumento alla pace adorna il parco di Walnut Creek in California.

Per lo scultore Bufano, la mano è un simbolo importante di pace. Poco dopo l’ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, nel 1917, Beniamino Bufano si tagliò accidentalmente metà dell’indice destro, da lui chiamato il “dito grilletto”, cioè il dito che serve per premere il grilletto, che spedì al presidente Woodrow Wilson, come protesta contro la guerra. Con il passare degli anni ha permesso che si sviluppasse una leggenda secondo cui aveva intenzionalmente reciso il dito per questo scopo.

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Saint Francis of the Guns del 1968, alta solo 3 metri, ma da molti ritenuta la più famosa. La statua è collocata di fronte all’entrata del Palazzo delle Scienze del City College di San Francisco.

La fonte di ispirazione per la statua sono stati gli assassinii, nel 1968, di Martin Luther King, 4 aprile, e Robert F. Kennedy, 6 giugno, in seguito ai quali il sindaco di San Francisco promosse una donazione spontanea di pistole, raccogliendone più di 2000, che diede a Bufano per farne una statua. Da qui il nome della statua (of the guns). Lo scultore fuse le armi aggiungendone del bronzo per evitare la corrosione.

La notorietà della statua sta non solo nel materiale, ma nel suo mosaico. In alto ci sono i volti di Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy e Martin Luther King, tutti uccisi da pallottole di pistola. In basso sono raffigurati i bimbi delle varie parti del mondo, che cantano tenendo in mano di fronte a loro lo spartito musicale.

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Abbiamo fatto questo percorso nell’arte di Bufano per arrivare a comprendere il San Francesco che si trova di fronte alla tomba di Adriano, e, dal 2014, anche di sua moglie Grazia.

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(Fotografia Ugo Proserpio)

Da quanto ci testimonia Enrico Sargentini, possiamo datare la statua a dopo il 1961, perché in quell’anno incontra, a New York, Grazia Galletti, che gli confida di avere intenzione di acquistare una statua di San Francesco da Benjamin Bufano, con il preciso scopo di porla di fronte alla tomba di Adriano. Sargentini la vede poi, negli anni successivi, nel giardino di Villa Belliboshi ad Ivrea, la casa di Adriano, dove la statua rimane qualche tempo, prima di venire sistemata nel cimitero, nella posizione per cui è stata pensata.

Di questa opera purtroppo non si hanno notizie da fonti americane, ma, richiamando in tutto il Saint Francis of the Guns, possiamo darne una lettura.

Le due statue sono entrambe in metallo, hanno praticamente la stessa altezza e sono uguali nella raffigurazione di San Francesco. Le differenze sono nel mosaico. Abbiamo lo stesso coro di bimbi multietnici che cantano con lo spartito musicale sostenuto dalle loro mani, ma qui c’è una grande colomba davanti a loro e, sopra di loro, la scritta ADRIANO OLIVETTI 1901-1960.

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(Fotografia Ugo Proserpio)

È il messaggio di Bufano che si ripete, anzi, qui rinforzato dalla colomba in primo piano, che non può che rappresentare Adriano Olivetti: uomo di pace e di concordia interculturale ed etnica. Di fronte a questa rappresentazione non possono non venire in mente le parole pronunciate da Adriano alla vigilia di Natale del 1955:

“E voglio anche ricordare come in questa fabbrica, in questi anni, non abbiamo mai chiesto a nessuno a quale fede religiosa credesse, in quale partito militasse o ancora da quale regione d’Italia egli e la sua famiglia provenisse.”

  1. https://www.foundsf.org/index.php?title=Beniamino_Bufano_on_Public_Art

Comments

  1. Una statua che testimonia la grande umanità e generosità del Grande ing.Adriano OLIVETTI ,scomparso troppo presto ,mentre Ivrea e tutto il Canavese ai quali questo grande e lungimirante imprenditore ,profuse ricchezza economica , sociale e culturale avrebbero avuto ancora bisogno di lui …

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