Giuseppe Silmo Nato a Ivrea nel 1941, nel 1966 inizia all’Olivetti come commerciale zonista a Torino e finisce 33 anni dopo, come Area Manager per l’Africa e il Medio Oriente. Nell’intermezzo, lavora ad Ivrea nel Marketing Centrale, ricopre poi diverse posizioni di Marketing, Sales Manager e Purchasing Manager. Nel 1994 è nominato Project Coordinator del progetto Europeo per il Retraining degli Ufficiali dell’Armata Rossa. Obiettivo: la formazione di 16.000 ufficiali (formati 17.000) a posizioni manageriali nella vita civile. Laureato in Scienze Politiche e poi in Storia. Laurea che lo porta a condurre una ricerca su un convento nel paese dei suoi avi, La storia della Trappa, e poi sui mille anni dello stesso paese, Sordevolo e la sua Storia. Scrive una trilogia sui prodotti Olivetti: MPS Macchine per scrivere Olivetti e non solo. Memorie di un venditore di macchine per scrivere, con la prefazione di Laura Olivetti; MDC Macchine da calcolo Olivetti e non solo. Natale Capellaro, il genio della meccanica; Olivetti e l’Elettronica, Una storia esemplare, a cui fa seguire il libro che ha ottenuto il maggior successo: Olivetti. Una storia breve e infine: Adriano Olivetti e il Territorio. Dai Centri Comunitari all’I-RUR. Scrive, di argomenti olivettiani, sul «Notiziario delle Spille d’Oro Olivetti», su giornali locali e su pubblicazioni on-line.

I prodromi dell’invasione dell’Ucraina

Di Giuseppe Silmo

La mia prima esperienza in terra russa è stata nel marzo 1974 per una presentazione di prodotti Olivetti alla nomenclatura sovietica.

In quell’occasione ho alloggiato all’Hotel Ucraina, uno dei sette grattacieli di Mosca, tutti simili, fatti erigere da Stalin.

Ho così scoperto la repubblica dell’Ucraina, la cui storia risale all’XI secolo e non al 1921 come sostiene Putin, e ho imparato che l’alfabeto, seppur cirillico, non è proprio uguale a quello russo, così come la lingua, ma anche la stessa cucina.

Nel 1974 siamo in piena epoca di Breznev, delle prime cautissime aperture verso l’Occidente. Tuttavia vanificate da una burocrazia soffocante. Epoca che poi passerà alla storia come “stagnazione brezneviana”. Un periodo di paralisi politica, che si prolungherà anche oltre la morte di Breznev con i suoi successori Andropov e Černenko.

Le cose cambiano con Gorbaciov. Dinanzi a una situazione difficile sul piano politico ed economico, Gorbaciov imposta un “nuovo corso”, rivolto alla riforma radicale dello stato e del sistema sovietico, riassunta nelle parole glasnost´ (trasparenza, libertà d’espressione) e perestrojka (riforma, ristrutturazione). La linea di Gorbaciov cambia il volto dell’URSS, soprattutto in virtù del processo di democratizzazione e dell’introduzione del libero mercato. Le difficoltà maggiori, comunque, Gorbaciov le incontra sul terreno economico, dove il passaggio da un economia centralizzata a una di mercato, porta a un grave peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Un altro terreno di grosse difficolta è lo sviluppo dei nazionalismi (Repubbliche Baltiche, Caucaso e Asia Centrale). Gorbaciov è vittima di un tentativo di golpe da parte dei nostalgici del vecchio regime sovietico, sventato con grande determinazione da Él’cin, Presidente della Federazione Russa, che ne esce rafforzato nei confronti di Gorbaciov. 

Situazione che porta alle dimissioni di Gorbaciov nel dicembre 1991 e al dissolvimento dell’URSS per iniziativa di Él’cin, Presidente della Federazione Russa, e dei Presidenti della Repubblica dell’Ucraina e della Repubblica della Bielorussa che, l’8 dicembre 1991, dichiarano, a Brest in Bielorussia, dissolta l’Unione Sovietica e istituiscono la Comunità degli Stati Indipendenti (CIS – Commonwealth of Independent States). Il 21 dicembre vi aderiscono tutte le altre repubbliche dell’URSS, salvo le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania).

Questo il fatto da cui tutto inizia e che crea le tensioni attuali.

Fatto che l’ultimo numero di Limes definisce “suicidio dell’URSS”, come lo considerano Putin e molti Russi che pensano che quella del ‘91 sia stata una sconfitta subita senza combattere.

E ancora una frase (Giorgio dell’Atri, Le guerre di Putin), che Putin ha più volte detto, che “La dissoluzione dell’Unione Sovietica è stata la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”.

Opinioni che condivido, per quanto sentito e visto, e che se non si prendono in considerazione il quadro attuale rischia di non essere compreso.

La Russia a partire dal 1991, ha goduto per quasi un decennio di una straordinaria apertura verso l’Occidente e in particolare verso l’Europa, a cui corrisponde all’interno una grande libertà di espressione. Esperienza che ho vissuto, prima con grande stupore e poi grande speranza. I giornali scrivono criticando il governo nella più completa libertà. Le TV si moltiplicano. Non c’è censura alcuna. Noi occidentali godiamo ora di una completa libertà di movimento, senza alcuna limitazione. Nel dicembre 1993 è varata una nuova Costituzione, simile a quelle occidentali, che garantisce i diritti civili del cittadino e la libertà di pensiero e parola, sancendo così la fine del vecchio regime.

Nasce così la collaborazione tra CIS e l’Unione Europea, che porta alla nascita del programma TACIS (Technical Assistance to the Commonwealth of Independent States). Che la Commissione Europea così definisce: “Il programma TACIS è volto a favorire la transizione verso un’economia di mercato e a consolidare la democrazia e lo Stato di diritto, negli Stati partner dell’Europa orientale e dell’Asia centrale”. Parole ora incredibili, se non facessero parte dei documenti ufficiali europei.

Nell’ambito del programma TACIS, la Russia di Él’cin chiede all’Unione Europea di varare un programma per ricollocare nella vita civile l’enorme numero di ufficiali risultanti in esubero con la fine della Guerra Fredda. Nasce così il progetto:

TACIS Russian Officers’ Re-training Programme

Con questo progetto inizia anche per me, una nuova importante esperienza russa. La Olivetti, con la sua società Elea, ha, infatti, vinto la gara per il Progetto, di cui io sono il Project Coordinator. E lavoro a fianco a fianco con i miei colleghi russi, in un ambito di collaborazione, per un avvenire migliore della Russia, e per un futuro più integrato e collaborativo con il resto del mondo.

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Il bollettino TACIS della Commissione Europea che annuncia il Progetto, inizia così:

“Marciando su una nuova melodia

E prosegue

L’abbattimento delle strutture progettate per combattere una guerra mondiale ha imposto cambiamenti radicali alle forze armate russe, diminuite da più di quattro milioni di truppe ai tempi dell’Unione Sovietica a circa un milione e mezzo di oggi. Ma fino a poco tempo fa, il governo è stato in grado di fare ben poco riguardo all’enorme serie di problemi sollevati da migliaia di ufficiali e soldati che sono improvvisamente rimasti senza un futuro. (…….) Tuttavia, dopo mesi di consultazioni, analisi e preparazione, il più grande programma di addestramento di questo tipo è ora in grado di trasformare la potenza della macchina militare russa in una flotta di manager e imprenditori dal pensiero moderno.”

Parole che evocano un mondo di cooperazione e apertura, che oggi si stenta a credere sia mai esistito. In cui noi, europei e russi credevamo. Questa la ragione per cui l’invasione dell’Ucraina mi ha particolarmente sconvolto e addolorato, quasi una parte della mia vita cancellata.

Lo stesso programma, informa il bollettino, viene esteso all’Ucraina. Fa impressione e fa correre un brivido per la schiena leggere i nomi delle città di Kiev e Kharkov, come luoghi di svolgimento del programma di formazione degli ufficiali.

 

Obiettivi del progetto:

a breve medio termine:

  • facilitare il reimpiego nella vita civile di un minimo di 16.000 ufficiali attraverso corsi di formazione manageriale;
  • creare una rete di 15 centri di formazione con uno staff di formatori in grado di erogare corsi per i profili professionali più rilevanti emergenti nelle varie Regioni russe; prima di avviare i corsi avevamo avviato un vasta ricerca in tutte le regioni russe;

a lungo termine: contribuire allo sviluppo economico nelle diverse regioni della Federazione Russa.

Alla Conferenza internazionale di chiusura del progetto, a Mosca del dicembre 1996, comunico i risultati e sono molto soddisfatto, perché credo, che si apra un futuro migliore per la Russia.

  • 15 centri di formazione creati
  • 407 insegnanti preparati
  • 12 profili professionali progettati ed erogati
  • 17.000 ufficiali formati

Durante gli anni dello svolgimento del Progetto, la Russia è segnata da una crisi economica devastante. Il PIL è diminuito del 42% tra il ‘90 e il ‘93 e la produzione industriale si è ridotta del 45% nello stesso periodo.

Il tasso di cambio rublo-dollaro, che è intorno ai 1500 rubli per 1 $ all’inizio ’94, precipita a maggio ‘95 a 5100, per rimanere poi abbastanza stabile.

Nel 1994 l’inflazione è del 200%, nel 1996 si riduce al 32% e nel 1997 al 18%.

Nel ’97, tuttavia, il problema più grave è la crisi finanziaria del bilancio, infatti, il gettito fiscale è soltanto del 39% rispetto al previsto, di qui la necessità di ricorrere massicciamente al credito estero. Nell’aprile ’97, la Banca Mondiale concede un credito per 6 miliardi di dollari, da utilizzare in gran parte per pagare le pensioni e gli stipendi arretrati.

In quegli anni la miseria della popolazione la percepisco e la vedo. Ricordo ancora ora la miseria della povera gente nel centro di Mosca: persone in piedi al gelo per ore, per vendere un vecchio ricordo di famiglia: un orologio, una statuetta di avorio, un braccialetto, una collana…; oppure fare una lunga coda a uno sportello, non distante dal centro, per portare bottiglie vuote raccolte in giro, in cambio di pochi copechi. La povertà e le ristrettezze si constatano anche negli enti pubblici, come all’Università Plekanov (la Bocconi russa), invitati alla loro mensa, dopo una riunione operativa del progetto, ci viene offerto un primo, che voleva essere una minestra di verdura, con pochissima verdura che galleggiava in un brodo vegetale, e un secondo composto da un wüster con un cucchiaino di senape e due fette di pane. Stesso menù, se possibile più contenuto, mi viene offerto in una cartiera sul lago Bajkal, a cento km dalla Mongolia.

La crisi economica è anche alimentata dall’instabilità politica, che, soprattutto dopo il crollo finanziario del ’98, vede alternarsi ben quattro primi ministri.

E qui inizia la carriera folgorante di Putin. E’ nominato da Él’cin Primo Ministro nell’agosto 1999 e successivamente il 31 dicembre suo successore ad interim, come Presidente della Federazione Russa. Le elezioni del marzo 2000, lo confermano Presidente, con il 53% dei voti. Risultato ottenuto, soprattutto, grazie alla riconquista della Cecenia con una cruenta azione militare lampo, da lui ordinata e culminata con la caduta, il 16 febbraio di Grozny, rasa al suolo.

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La guerra di secessione della Cecenia inizia nel 1991. Per la stragrande maggioranza dei Russi è una ferita mortale, un’offesa al loro orgoglio, come il referente del Progetto da parte russa, Valery Bizlepkin, non manca di dirmi, stressando sul fatto che la Russia è il baluardo all’integralismo islamico verso l’Europa. Nel 1996 la guerra si chiude con un accordo. Riesplode nell’agosto 1999, chiudendosi però rapidamente per l’intervento di Putin.

Altro capitolo la Georgia. Nel 2004 viene eletto un Presidente filo-occidentale, le relazioni con la Russia di Putin cominciano a deteriorarsi.

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La Russia inizia a favorire la secessione delle due regioni russofone dell’Abkhazia e Ossezia del Sud, fino a lanciare, l’8 agosto 2008, un’invasione terrestre, aerea e marittima su vasta scala in appoggio alle due regioni separatiste, che vengono rese indipendenti sotto l’influenza russa. Nel 2009 la Georgia uscirà dal Comunità degli Stati Indipendenti.

Lo stesso copione si ripete in Ucraina nel 2014, come scrive Limes, con la “fuga dell’Ucraina, verso l’Occidente”.

La rivoluzione ucraina del novembre 2013 – febbraio 2014, nota anche come rivoluzione di Euromaidan, dalla piazza principale di Kiev, inizia all’indomani della decisione del governo di sospendere le trattative per la conclusione di un accordo di associazione con l’UE a favore della ripresa di relazioni economiche più strette con la Russia.

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La rivoluzione di Euromaidan culmina, dopo tre mesi di manifestazioni anche violente, con la fuga del presidente filorusso Janukovyč. Viene eletto il nuovo Presidente Porošenko. La reazione della Russia è l’occupazione della Crimea e la fomentazione e l’appoggio alla separazione di due regioni russofone del Donbass. A cui l’Ucraina risponde con l’uscita dalla Comunità degli Stati Indipendenti. Inizia così una guerra per il Donbass a cui segue una tregua. Ma la tensione intorno all’Ucraina continua ad accumularsi, così lo scorso febbraio, la tregua di otto anni si è infranta con il riconoscimento diplomatico di Mosca delle due regioni separatiste e l’inizio dell’invasione militare russa sul territorio ucraino.

Limes scrive,:

“L’Aggressione all’Ucraina serve a Mosca per confermarsi impero. Questione di vita o di morte. Senza impero, la Russia non ha ragione di essere. Storia geografia e autocoscienza le vietano di scadere a stato nazionale.” In quanto, aggiungo io, l’impero zarista era multinazionale e multietnico… “Così pensa Putin. Con lui molti russi.” Opinione che io condivido, sapendo che se mi trovassi con i miei ex colleghi russi ci troveremmo su posizione opposte.

 

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