di Maria Laura Ercolani

Paolo Volponi arrivò a Matera alla fine del ’54 quando la storia del borgo “La Martella” era arrivata a un punto morto per cui Adriano,  considerando l’esperienza chiusa, dall’anno successivo lo incaricò di seguire il “Progetto Abruzzo” ideato e curato da Angela Zucconi, responsabile del Cepas (Centro di Educazione  Professionale per Assistenti Sociali), in collaborazione con l’UNESCO e con il patrocinio e il sostegno di Adriano .

Tuttavia poiché era stato  assunto da Adriano nel ’50 per seguire,  come suo assistente e portavoce, le inchieste che  l’UNRRA-Casas (United Nations Relief and  Rehabilitation Administration- Centro Amministrativo di Soccorso ai Senzatetto)  svolgeva  nel centro-sud d’Italia per predisporre il suo piano di aiuti, il giovane avvocato urbinate conosceva bene e da tempo la realtà, i problemi del Sud, della Basilicata e di Matera e gli studi che gli esperti e gli studiosi locali, chiamati da Adriano a collaborare al programma di ricostruzione, stavano portando avanti. Tanto è vero che nell’imminenza dello scioglimento del Gruppo di Studio e dell’abbandono del Progetto insistette perché venisse steso   un resoconto per non disperdere il patrimonio di una esperienza esemplare. Incaricato di redigere l’introduzione generale, la scrisse ma non la firmò. Era per il rispetto di un lavoro in sostanza non suo? Era una presa di distanza? Volponi non aderì neppure al movimento politico di “Comunità” né alla rivista “Comunità” pur seguendone con attenzione l’attività culturale. Da Luciano Gallino -che collaborò con Volponi all’Ufficio Studi Relazioni Sociali- sappiamo che c’erano seri motivi di dissenso da parte di Volponi nei confronti di Adriano (Luciano Gallino, L’impresa responsabile, Einaudi, 2014), ma non sappiamo quali fossero.

 In qualità di osservatore Volponi informava costantemente Adriano sull’andamento delle cose, ma queste relazioni-conversazioni erano orali e non ne è rimasta traccia. Perciò non sappiamo nulla del pensiero di Adriano attraverso Volponi. E nemmeno del pensiero di Volponi su Adriano. Sappiamo però, per certo, che l’esperienza della Martella per lui fu molto importante dal punto di vista formativo.

Tuttavia sulla questione della “Martella” e sul suo rapporto con Adriano Volponi è indotto a parlare, vent’anni dopo, da una trasmissione televisiva dedicata ad Adriano Olivetti “grande manager italiano”, curata da Nicola Caracciolo, giornalista e storico, per la Rai, andata in onda il 2 aprile 1974. Due giorni dopo, Il 4 aprile, Volponi pubblicava una lettera sul “Corriere della Sera” in cui contestava come incompleti e fuorvianti il testo e le immagini della trasmissione di Caracciolo; l’autore rispondeva contrattaccando, provocando una ulteriore durissima lettera di Volponi datata 11 aprile. Il tono delle lettere è veramente aspro e risentito, la difesa di Adriano e del Progetto è totale, netta.

E’ necessario precisare che quando scrive queste lettere, nel 1974, cioè vent’anni dopo la fine del Progetto della Martella, Volponi era già uscito dall’Olivetti ed era in procinto di assumere l’incarico di presidente della Fondazione Agnelli. Il ’74 è anche l’anno in cui pubblica Corporale, l’anno successivo avrebbe pubblicamente dichiarato di votare per il Pci e sarebbe stato espulso dalla Fondazione Agnelli: lo scrittore stava attraversando una fase di grande amarezza; il nuovo corso della gestione dell’Olivetti aveva voltato le spalle ad Adriano oltre che a lui stesso che si era proposto   di esserne l’erede e il continuatore. Tutta l’industria italiana si era ripiegata su posizioni di difesa del potere e del profitto invece di aprirsi all’innovazione e a un nuovo rapporto con la società e con lo Stato.

In polemica con il mondo dell’industria e dell’economia, proprio cominciando da queste lettere e ancor più successivamente, dopo il 1975, con  altri articoli e interviste, Volponi costruisce e diffonde il mito di Adriano: senza mai entrare nella sfera personale di comportamenti e debolezze private,  anzi  trasformando i risultati non felici di certe iniziative in prove positive – così ha fatto anche con Pasolini, l’altro suo “maestro” – , egli   crea il ritratto dell’imprenditore modello. 

Prima di procedere, per comprendere meglio le ragioni dello scontro tra Caracciolo e Volponi, è necessario ricordare che in seguito alla legge sul risanamento dei “Sassi” sei quartieri e borghi furono costruiti intorno a Matera anche da architetti di prestigio – Spine bianche  da Aymonino, Borgo Venusio da Piccinato, ad esempio – ma solo “La Martella” suscitò tanti problemi e tante polemiche;  divenne un vero e proprio caso dal punto di vista architettonico e urbanistico, sociologico e culturale e infine soprattutto politico. Questo perché mentre gli altri quartieri e borghi erano progettati in relazione alla città e furono progressivamente inglobati in essa, il borgo “La Martella” era stato pensato e voluto da Adriano come un Borgo agricolo autonomo rispetto alla città e da  gestirsi  autonomamente: dunque si poneva in alternativa – se non in conflitto – rispetto al  sistema di potere locale tradizionale;  non era una Comunità, non era legato al movimento di Comunità ed era stato opportunamente affidato da Adriano   al Cepas fondato a Roma da Guido Calogero e Maria Comandini che era apolitico, era un  centro di educazione democratica. Ma la distinzione non fu percepita o considerata ininfluente o deliberatamente ignorata e il Borgo fu considerato  un pericoloso esempio di comunismo; secondo Albino Sacco, altro protagonista della vicenda fin dalle fasi preliminari,  ancora peggio, un centro del movimento di Comunità; Sacco dice inoltre che il progetto era troppo avanzato o il contesto non pronto: “non è  stato un abbandono da parte nostra, ma siamo stati cacciati perché, dicevano allora, eravamo troppo  intempestivi”  (A. Sacco, in “Bollettino del Comitato Italiano di Servizio Sociale”, 2-3, 1964, p. 173); gli stessi operatori del Casas, riconosce Volponi, non credevano più tanto nel Progetto ( lettera dell’11 aprile). 

Leonardo Sacco  nell’intervista di Bilò (F. Bilò, E. Vadini, Matera e Adriano Olivetti, Conversazioni con Albino e Leonardo Sacco, Fondazione Adriano Olivetti, 2013, p. 79)  ricorda i problemi della gente rimasta senza servizi e senza aiuti, lo smarrimento e la determinazione di protestare e agire autonomamente: “Come abbiamo scritto più volte, il villaggio oramai abitato era ben lontano dall’avere i servizi che l’ente promotore (UNRRA-Casas) aveva annunciato nel 1953 per dare vita ad una comunità contadina degna di questo nome. Le novanta famiglie che abitavano nel villaggio a fine gennaio 1954 non potevano disporre di un servizio postale, telefonico, della delegazione comunale, del centro aziendale, di un barbiere, e in molte case pioveva, le strade erano impraticabili. In più ai contadini era impedito di riunirsi, di pensare troppo: a La Martella non erano ancora ammesse organizzazioni sindacali, politiche o assistenziali diverse.

Le critiche e le polemiche intorno al Borgo della Martella dunque furono molte e forti e presero di mira i vari aspetti del Progetto, ne abbiamo citate alcune di coloro che vi parteciparono e vissero dall’interno la situazione.

Tornando alle lettere, Caracciolo nella risposta alla prima lettera di  Volponi precisa che nella trasmissione televisiva non aveva messo in dubbio la grandezza e i meriti di Adriano, ma aveva espresso legittimamente anche delle critiche; conferma che era “un grande personaggio”, “ma di una grandezza contraddittoria” perché era al centro di un sistema che voleva contestare; era un “utopista rivoluzionario” e contemporaneamente “un «padrone» che aveva un profondo senso dell’organizzazione aziendale”. Quanto alla Martella aggiunge che gli appezzamenti di terreno erano troppo piccoli per garantire la sopravvivenza agli assegnatari del Borgo. E infine coinvolgendo tutto il gruppo di studio e Volponi stesso, accusa Adriano di essere rimasto “lontano” e di aver lasciato nei problemi “i contadini vittime dei suoi esperimenti”.

 Volponi non prende in considerazione le accuse di Caracciolo, conferma anzi che “l’utopistica politica di Adriano è certamente discutibile”, ma non nega la sofferenza dei contadini che lui ha visto: Adriano era lontano, ma lui era vicino: “Ostaggi innocenti” definisce la gente del Borgo – e su questo è d’accordo con Caracciolo – esprimendo, con   grande amarezza, solidarietà verso di essa, lungi dall’essere indifferente spettatore. Le sue parole rivelano e confermano una profonda spaccatura: da un lato egli difende le idee di Adriano, dall’altro sente le sofferenze di coloro che sono stati coinvolti nel fallimento del suo progetto.

Tra la prima e la seconda lettera ci sono profonde differenze. Nella prima Volponi indica i meriti, la grandezza di Adriano Olivetti nell’aver “fatta grande e universale” la sua azienda, “all’avanguardia dell’industria europea e in competizione con l’industria di tutto il mondo”, centro di sperimentazione e di ricerca; di aver portato avanti una politica di welfare gestita dalle rappresentanze sindacali e di aver promosso la cultura “nell’intento di costruire un’alternativa all’accademismo e alla povertà e delle culture e delle industrie italiane”. Quanto alla “Martella” aggiunge: “Direi che lo studio sui “Sassi” e sull’insediamento in borghi agricoli dei contadini che vi abitavano, sia l’esempio più bello di socio-economia applicata prodotto dalla cultura italiana”: Volponi costruisce  Il mito di Adriano sulla novità e sul coraggio delle idee e sulla grandezza delle sfide, sull’ampiezza di visione dei problemi  e la valorizzazione della cultura e dell’intelligenza, sulla importanza del lavoro d’équipe e sul partire dalla storia, dal territorio, dalla condizione della gente. Della “Martella” dice: “Il fallimento della Martella è la prova più lampante della bontà delle idee di Adriano e della loro capacità innovativa. Esse furono capite come pericolose proprio dalle forze più conservatrici sia del governo centrale che della politica meridionali, e quindi osteggiate, imbavagliate e sequestrate” (lettera del 4 aprile). “Adriano – dice Volponi sintetizzando il suo obiettivo e il suo merito più alto – mirava a una ricostituzione democratica dal basso di tutte le strutture del Paese e questa lezione mi pare oggi in cima a qualsiasi programma di innovazione reale che si voglia affrontare tanto in sede rappresentativa quanto in sede amministrativa, culturale, economica ecc.” (lettera del 4 aprile).

La causa politica del fallimento del Progetto della Martella è data per unica e certa   da Volponi senza  spazio per altre ombre o ipotesi  e “il fallimento”  non è un dato negativo anzi esalta  la grandezza della sfida valida e importante “oggi”, era  il 1974, quanto allora. Il caso della Martella è letto da Volponi in relazione al presente e al futuro.

Nella seconda lettera Volponi viene a parlare di sé. Comincia col dire che non difende se stesso, ma solo Adriano e il suo lavoro perché personalmente non ha avuto nessun ruolo né nel progetto  né nella realizzazione della “Martella”: “Quanto alla questione del Borgo La Martella – dice – posso affermare di non avere avuto  qualsiasi parte diretta o decisionale nello studio sui “Sassi” di Matera; nella progettazione del Borgo o nell’assegnazione delle terre fatta per i contadini che vi erano andati ad abitare.” Però più avanti aggiunge: “Tuttavia anche se non mio ne ho sempre condiviso le speranze, i motivi e i metodi.  E voglio subito riconfermare la più completa solidarietà con coloro che hanno studiato i Sassi, con coloro che hanno progettato il Borgo della Martella e con coloro che hanno cercato, come animatori sociali, di farlo sopravvivere contro i condizionamenti del prepotere politico e burocratico” (lettera dell’11 aprile). 

In concreto, quanto alla Martella, ancor più che Adriano Volponi difende il lavoro del gruppo di Studio e da spettatore diventando protagonista delinea il suo ruolo e il suo percorso nell’ambito dei progetti di Adriano, ma stando dalla parte della gente; anche la scrittura deriva dalla grande lezione della Martella. Infatti scrive: “Dopo di che lasciai l’UNRRA-Casas per andare a Ivrea, e andandomene sentivo di essere ancora più vicino a quelli della Martella, ormai ostaggi innocenti degli schemi della riforma agraria […]. Andai a lavorare dove pensavo di poter portare avanti un discorso ancora coerente con le premesse e i risultati esemplari dello studio sui “Sassi” e della progettazione del Borgo. Lo stesso discorso mi pare di aver continuato a svolgere anche nel mio lavoro di scrittore”.

In conclusione secondo Volponi la politica di Adriano è utopistica, ma  irrinunciabile, esemplare nelle sue finalità: “Adriano – riproponiamo la citazione — mirava a una  ricostituzione democratica dal basso di tutte le strutture del Paese e questa lezione mi pare oggi in cima a qualsiasi programma di innovazione reale che si voglia affrontare tanto in sede rappresentativa quanto in sede amministrativa, culturale, economica ecc.” (lettera del 4 aprile): le stesse parole potremmo usare per definire il progetto di vita e di lavoro di Paolo Volponi. L’espressione “dal basso” è sempre stata a lui molto cara, è una chiave del suo pensiero e in questa chiave egli legge anche il pensiero di Adriano. La “lezione” che gli attribuisce – una lezione che va oltre la Martella e l’Olivetti –   rende ragione pienamente della definizione di “maestro”, ma nel concreto Volponi, essendo cambiati il contesto e il periodo storico, ma anche per la sua personalità e la sua formazione, seguirà un metodo diverso.

Olivettiana ringrazia per questo testo gentilmente offerto da Maria Laura Ercolani, autrice di Paolo Volponi. Le sfide del Novecento, L’industria prima della letteratura, FrancoAngeli, 2019

CORRIERE-DELA-SERA-4-aprile-1974-pag.-13-Volponi-LUTOPISMO-DI-OLIVETTI-IN-TV

Corriere-della-Sera-4-aprile-1974

Corriere-della-sera-11-aprile-1974

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *