Nel centenario della nascita di Paolo Volponi un ricordo di Federico Butera, testimone di eccezione, che con lui ha lavorato in Olivetti.
Le tre professioni di Paolo Volponi [1]
di Federico Butera [2]
Paolo Volponi è stato il mio capo quando ho lavorato in Olivetti a Ivrea. Anzi, dopo la nascita dello stabilimento di Pozzuoli e dopo la pubblicazione del suo Memoriale, gli scrissi da Palermo per dirgli che stavo per fare il concorso della magistratura, pensavo che senza portare in Sicilia lavoro di qualità non si sarebbe potuto sconfiggere la mafia, che avrei avuto piacere di fare sei mesi a Ivrea per vedere come si fa: dopo 15 giorni mi fece chiamare a Roma e mi fu proposta una assunzione, che accettai pensando di tornare presto in Sicilia. Invece restai a Ivrea dal 1962 al 1973 prima alla gestione del personale, poi – proprio su “imposizione” di Paolo Volponi–diventando il responsabile della selezione dei laureati assumendo in un anno e mezzo 420 neolaureati e con esperienza, e infine sostituendo Luciano Gallino alla direzione del Servizio Ricerche Sociologiche e Studi sull’Organizzazione, dove ho seguito il programma di nascita delle isole di montaggio.
Paolo Volponi, tre professioni legate ricorsivamente fra loro.
Paolo Volponi è stato un grandissimo poeta e romanziere che attraverso un gran numero di personaggi racconta stesso, come figura paradigmatica di chi, strappato dalla civiltà delle aree interne italiane di
città nobili come Urbino e delle campagne, entra in contatto con il mondo industriale delle fabbriche, delle grandi città, dei grandi conflitti sociali fra capitale e lavoro: egli trasforma questo vissuto in poesia e in racconto civile, in una narrazione ricca e complessa che ha allo sfondo la trasformazione dell’Italia del dopoguerra. Volponi fu autore fra l’altro della memorabile raccolta di poesie Le porte dell’Appennino del 1960, premiato con il premio Viareggio. È stato un grande, fecondo e controverso romanziere, con il suo libro a mio avviso più bello Memoriale del 1962 e con molti altri fra cui i due che ottennero il premio Strega, La macchina mondiale del 1965 e La strada per Roma, del 1991. La sua passione civile e politica è alla base dei suoi romanzi, mai però didascalici, mai portatori di tesi preconfezionate e di proclami. Prima di fede repubblicana, poi di fede comunista, fu senatore indipendente del Pci e successivamente deputato di Rifondazione Comunista. Volponi frequentò gli ambienti letterari e intellettuali romani e milanesi. I critici letterari che molto hanno scritto di lui sanno bene che lavorò alla Olivetti, alla Fiat, alla Rai, alla Finarte: ma la loro immagine prevalente è che queste furono attività svolte per assicurargli le risorse per la sua attività di poeta e romanziere e per la sua passione di collezionista di pittori del ‘600. Nulla di più sbagliato: furono professioni esercitate con impegno, passione e professionalità.
La seconda professione, infatti, fu quella del dirigente industriale di una azienda singolare come la Olivetti. Volponi viene chiamato da Adriano Olivetti che gli offre l’opportunità di tradurre in pratica l’utopia di un capitalismo riformato dal volto umano, prima affidandogli l’incarico di sviluppare progetti di pianificazione sociale con l’UNRA-CASAS a Ivrea e a Matera; poi affidandogli i servizi sociali della Olivetti. Dopo la morte di Adriano, viene nominato Direttore del Personale (Direzione relazioni Aziendali, come lui ribattezzò quella Direzione). E infine nel 1971 è in predicato per diventare l’Amministratore delegato della Società ma gli viene proposto di essere affiancato da un Ammiraglio lontano dalla cultura Olivetti ma che assicurava fedeltà al gruppo che aveva preso il controllo della Società. Volponi fu uno straordinario dirigente industriale efficiente, efficace, di successo finché non si è dimesso nel 1971.
La terza professione, che fluisce ininterrottamente come un magma sotterraneo sotto le prime due, ma che poi, dopo il 1971 si rende autonoma, è quella del riformatore sociale e del politico. L’esperienza giovanile di Volponi che vede entrare a Urbino nel 1944 le truppe alleate lo aveva orientato alla sensibilità verso i programmi di ricostruzione dell’Italia uscita dalla guerra e dal fascismo e verso la dimensione sociale di questa ricostruzione. Negli anni 1945-1960 – raccontò Volponi – s’è lavorato molto, tutti: si credeva di costruire l’Italia democratica, l’Italia della Liberazione e dell’unità nazionale, si pensava di trasformarla attraverso le riforme. Adesso le crisi sono tante, anche frazionate ad arte: crisi politica, crisi economica, crisi energetica, crisi della ragione. Ma la crisi centrale, vera e più grave, sta nella mancanza di un progetto sociale molto ampio, aperto a tanti contributi, accettabile per tutti. Questo progetto diviene la sua ossessione negli anni.
Quella stessa passione civile e politica lo ha sostenuto in tutte le sue attività come scrittore e come dirigente. Ma dal 1973 diviene anche la sua professione prevalente, facendo prima il consulente di vertice della Fiat e il dirigente della Fondazione Agnelli, poi eletto senatore e deputato della Repubblica. Volponi fu sostenitore di una impresa riformista e democratica, di un capitalismo ripensato, ossia un Politico di ampie visioni. In questo ruolo rimase un utopista senza diventare un uomo politico di successo come lo fu come scrittore e dirigente poiché fu continuamente respinto e deluso dal potere. Il politico combatte il potere con il potere e non solo con le idee: Volponi si è misurato sempre con il potere senza opporvi però altro potere che quello delle idee.
Cosa ha fatto Volponi alla Olivetti
Volponi ha contribuito a sviluppare in Olivetti un sistema di welfare aziendale ancora insuperato e poi , come Direttore del Personale, ha guidato le funzioni di selezione e formazione di una classe di dirigenti, tecnici, lavoratori, uno “scrigno di competenze” che alla fine degli anni ‘70 avranno fatto il miracolo di salvare la Olivetti dal possibile fallimento dovuto alla perdita della eccellenza tecnologica meccanica seguita all’ingresso dell’elettronica nella produzione di macchine per ufficio: ne parleremo avanti.
Volponi, su invito di Adriano Olivetti, comincia a lavorare all’UNRA-CASAS un programma di ricostruzione non solo fisica di case e paesi distrutti o fatiscenti, di strade e ponti ma anche di ricostruzione sociale: ci vogliono architetti e muratori ma anche esperti di scienze sociali. È qui che inizia la collaborazione con architetti, sociologi, assistenti sociali. Lavora al progetto del quartiere Martella di Matera che doveva offrire condizioni di vita più sane e dignitoso agli abitanti dei Sassi, un progetto nobile ma in parte non riuscito. Il tema della distruzione della civiltà contadina sostituita da una civiltà industriale dai caratteri non chiari e non tutti benèfici, che mentre crea lavoro spesso lo dequalifica, costruisce città invivibili, distrugge comunità senza ricostruirne di nuove, apre conflitti acuti. Il linguaggio politico del tempo sintetizza tutto questo come il contrasto fra capitale e lavoro, fra forze conservatrici e sinistra, dentro l’inizio della guerra fredda: Volponi vive queste lacerazioni ma la sua risposta è attiva: fare, progettare un futuro, raccontare.
Non deve sorprendere quindi che Volponi accetti di assumere la responsabilità dei servizi sociali della Olivetti senza molti problemi ideologici o politici in una azienda che stava sviluppando forme avanzatissime di welfare aziendale (come oggi si chiama) e di sviluppo delle comunità : biblioteche, servizi sanitari, servizi psicologici, assistenza sociale, asili, colonie di altissimo livello non solo integravano i servizi nazionali insufficienti ad assicurare agli operai una vita decente ma soprattutto rappresentavano un possibile modello da proporre ad altre aziende, territori, politiche nazionali. Volponi si impegna a capo fitto con passione e competenza e fa dei servizi sociali Olivetti un modello che è stato imitato anche ai giorni nostri ma mai eguagliato. Le critiche del Partito Comunista e della CGIL al supposto “paternalismo” di Adriano Olivetti, credo che non lo sfiorino più di tanto tranne che nelle conversazioni con i suoi amici intellettuali romani come Pasolini, Moravia, Guttuso e altri-, in cui talvolta sente di doversi giustificare di essere “a servizio dei padroni”.
Dopo la morte di Adriano, Volponi viene nominato Capo del Personale, anzi Direttore della Direzione Relazioni Industriali – come lui la ribattezzò – che includeva la gestione delle retribuzioni di tutto il personale dai dirigenti agli operai, la valutazione, le assunzioni, la formazione, il counseling al personale di fabbrica allora definito “gestione del personale”, i centri di sociologia e di psicologia, le relazioni sindacali, le relazioni istituzionali anche i servizi sociali, che affiderà a Giannorio Neri. Con questo Volponi da una parte entrava nel vivo di quella condizione lavorativa di operai e impiegati che aveva studiato da lontano e dall’altra entrava nei rapporti di potere al vertice dell’azienda. Maria Laura Ercolani nel suo libro citato ha trovato documenti di Volponi che esprimono la sua visione riformatrice: riorganizzare la tecnostruttura e liberare il lavoro, abilitare e responsabilizzare dirigenti e quadri, soprattutto creare una tensione verso la realizzazione di una azienda democratica. Vivida l’intenzione di Volponi non solo di gestire nel modo migliore le persone ma di preparare una struttura organizzativa e un modello professionale che si allontanasse dal modello burocratico e taylorfordista che dominava anche nella umana azienda Olivetti. Si circonda di giovani brillantissimi: da Umberto Chapperon, a Tullio Lembo, a Giorgio Arona, a Romano Gabriele, a Giovanni Maggio, a Giannorio Neri, a Renato Rozzi, a Tiziano Terzani: io ero il più giovane e di gran lunga il meno intellettuale. Si appoggia a giganti come Guido Calogero, Cesare Musatti, Franco Momigliano. Non ha tempo di realizzare trasformazioni consistenti nella struttura organizzativa e del lavoro ma fa molte cose cruciali che predispongono la rivoluzione post-tayloristica del 1969 e accreditano lui per assumere più tardi l’incarico di Amministratore Delegato: un vasto e innovativo piano di formazione di dirigenti e quadri industriali e commerciali, svolto nelle scuole aziendali e in USA; l’assunzione di oltre 400 laureati sia neo che con esperienza; l’attivazione di gruppi di studio per le riforme; una serie di convegni interni molto avanzati ( fra cui quello sui Capi Intermedi a villa Natalia a Firenze in cui per la prima si annunciava che era possibile assegnare maggiori responsabilità alle decine di migliaia di operai e impiegati d’ordine che soffrivano del lavoro in frantumi). Inaugura un dirigere diverso. E inoltre Volponi scrive proposte di riforma dell’impresa che presenterà nel 71 al Presidente Visentini e alla proprietà, malauguratamente senza effetti.
Nel 1969, Gallino va via e Volponi mi affida il Servizio di Ricerche Sociologiche e Studi sull’Organizzazione. Io mi dedico a coordinare un programma di ricerca e intervento sulle trasformazioni organizzative in fabbrica. Le idee erano in gran parte quelle sviluppate e discusse con Volponi e con il suo team ma ora l’occasione storica era attuale e drammatica. Olivetti in quegli anni era un’azienda di 40.000 dipendenti che aveva avuto uno sviluppo formidabile ma che aveva subito lo scippo della grande elettronica. Inoltre- a causa della concorrenza delle macchine elettroniche giapponesi- si trovava di fronte all’obsolescenza della sua tecnologia di base, di prodotto e produzione: dai pezzi di ferro ai chip. Ricercammo su quello che avveniva in azienda, studiammo quanto accadeva nel mondo e insieme con i manager e tecnici della produzione proponemmo e sviluppammo un nuovo modello di produzione. Scoprimmo che era possibile attuare una modalità produttiva flessibile che i tecnici in modo sperimentale stavano già escogitando. Il Direttore di Produzione Gribaudo lesse il mio report della prima fase della ricerca, mi chiamò alle 20 a casa e mi chiese “Butera, ma è vero che noi stiamo facendo queste cose?” e io gli risposi “Sì, ma non avete capito il significato e le implicazione di questi esperimenti”. “Venga domani mattina alle 8”, E così avviammo un progetto di riorganizzazione dei sistemi produttivi, un progetto di Change Management Strutturale come poi lo avrei chiamato. Smontando le lunghe catene di montaggio e costituendo isole di produzione, nacquero così le Isole di Montaggio, le UMI (Unità di montaggio Integrate) che rappresentarono un nuovo modo di produzione, partecipato dal sindacato, con un imponente programma di riorganizzazione delle attrezzature, della logistica, delle formazione degli operai, quadri e dirigenti. L’Olivetti per questo sopravvisse mentre l’Olimpia, il suo competitor più grande, chiuse.
Intanto il prof. Bruno Visentini, Presidente della Olivetti e già Ministro delle Finanze, propone in un primo momento a Volponi di assumere l’incarico di Amministratore Delegato. Volponi ha dubbi testimoniati dalle lettera Pasolini e ad altri. Poi dice di sì e presenta un piano. I contenuti di questo piano illuminato sono raccontati nel romanzo Le mosche del capitale. Il piano è presentato da Saraccini (Volponi) al Presidente Nasàpeti (Visentini) alla vigilia della sua prospettata nomina ad Amministratore Delegato. Quando Visentini gli comunica che il Gruppo di Controllo vuole una diarchia con l’ammiraglio, ingegner Ottorino Beltrami, persona di una cultura ortogonale a quella della Olivetti, Volponi si dimette sbattendo la porta.
L’esperienza di Volponi come riformatore politico
Sembra la fine dell’utopia si essere a capo di una azienda innovativa e democratica che aveva guidato la sua avventura in azienda. Invece Umberto e Gianni Agnelli lo incaricano di farne un progetto apparentemente simile per la Fiat. Però questa ipotesi di riforma octroyè in una azienda che non aveva lo “scrigno di competenze” e l’“anima” della Olivetti non poteva funzionare. E infatti la scusa fu che, quando si viene a sapere che Volponi aveva appoggiato la lista del PCI, egli viene prima messo ai margini e poi inviato alla Fondazione Agnelli, da cui presto si dimise.
Come senatore del PCI e poi di deputato di Rifondazione Comunista continuerà a scrivere, a fare proposte parlamentari nello spirito della sua esperienza olivettiana, ma dal Senato non emerge alcun programma di riforma dell’impresa e del lavoro concordata con imprenditori e sindacati, come frattanto stava avvenendo in Germania con la Mitbestimmung e in Scandinavia con l’Industrial Democracy.
Volponi è affascinato dal potere con cui entra in contatto con l’intenzione di piegarlo ai suoi ideali: ma contro il potere del Gruppo di Controllo dell’Olivetti, della dirigenza Fiat, degli apparati comunisti e democristiani, la sola forza delle idee è destinata a perdere.
L’eredità di Volponi però rimane viva nei suoi scritti, nei progetti, nei percorsi. Rimane viva e diventa struttura nella trasformazione industriale della Olivetti a cui lui aveva dato un contributo importante. Oggi all’inizio della quarta rivoluzione industriale di quei modelli e di quei percorsi c’è un bisogno maggiore che negli anni ‘70 e ‘80.
Il futuro del nostro paese nel 2024 è sempre più legato alla valorizzazione del lavoro e delle organizzazioni: alla visione di un Paese che riposiziona verso l’alto la propria produzione di beni e servizi aumentando la propria quota di fatturato sul mercato mondiale; che sviluppa sistemi di impresa rete e ecosistemi cognitivi; che valorizza l’enorme patrimonio di imprenditoria e di beni naturali, artistici e culturali; che migliora la produttività anche con l’adozione di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale; che esalta il saper fare italiano; che potenzia i sistemi educativi; che riorganizza la pubblica amministrazione; che rispetta i diritti: che riduce le disuguaglianze; che assicura legalità e giustizia in tempi giusti; che protegge l’ambiente.
L’esperienza e l’eredità di Volponi ha a che fare ancora oggi con tutto questo mettendo al centro la riforma dell’impresa e la valorizzazione del lavoro e delle persone. Oggi occorre incoraggiare e mettere in connessione i progetti e le politiche che valorizzano il lavoro di qualità, che sviluppano insieme tecnologia, organizzazione, lavoro, che si danno e realizzino insieme obiettivi economici e sociali.
Il futuro ha un cuore antico.
[1] Una prima versione di questo articolo è stato pubblicata come prefazione al libro di Maria Laura Ercolani Paolo Volponi. Le sfide del 900, Franco Angeli. Su questa traccia ho svolto una relazione alla Celebrazione per il centenario della nascita curata dal l’istituto Comprensivo Paolo Volponi, in Università Carlo Bò il 12 aprile,
[2] Federico Butera, Professore Emerito di Scienze dell’Organizzazione, Università di Milano “Bicocca” e prima Roma “Sapienza” . Presidente di IRSO – Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi. Direttore di Studi Organizzativi. È stato dirigente della Olivetti. Gli ultimi dei suoi 40 libri pubblicati sono. Disegnare l’Italia. Progetti e politiche per organizzazioni e lavori di qualità, Egea e (con Giorgio De Michelis), Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile, Marsilio