Giuseppe Silmo Nato a Ivrea nel 1941, nel 1966 inizia all’Olivetti come commerciale zonista a Torino e finisce 33 anni dopo, come Area Manager per l’Africa e il Medio Oriente. Nell’intermezzo, lavora ad Ivrea nel Marketing Centrale, ricopre poi diverse posizioni di Marketing, Sales Manager e Purchasing Manager. Nel 1994 è nominato Project Coordinator del progetto Europeo per il Retraining degli Ufficiali dell’Armata Rossa. Obiettivo: la formazione di 16.000 ufficiali (formati 17.000) a posizioni manageriali nella vita civile. Laureato in Scienze Politiche e poi in Storia. Laurea che lo porta a condurre una ricerca su un convento nel paese dei suoi avi, La storia della Trappa, e poi sui mille anni dello stesso paese, Sordevolo e la sua Storia. Scrive una trilogia sui prodotti Olivetti: MPS Macchine per scrivere Olivetti e non solo. Memorie di un venditore di macchine per scrivere, con la prefazione di Laura Olivetti; MDC Macchine da calcolo Olivetti e non solo. Natale Capellaro, il genio della meccanica; Olivetti e l’Elettronica, Una storia esemplare, a cui fa seguire il libro che ha ottenuto il maggior successo: Olivetti. Una storia breve e infine: Adriano Olivetti e il Territorio. Dai Centri Comunitari all’I-RUR. Scrive, di argomenti olivettiani, sul «Notiziario delle Spille d’Oro Olivetti», su giornali locali e su pubblicazioni on-line.

Mario Moncada, che ha letto i miei articoli su «Nel Futuro», ha scritto questo commento:

“Ho letto con interesse quanto ci racconta Silmo su eventi di quei giorni per tutti noi problematici e chiedo: qualcuno è in grado di raccontare la successione dei fatti determinati dalla disastrosa presenza di Carlo De Benedetti che, per risolvere i suoi megalomani problemi finanziari, ha smembrato e svenduto a pezzi la Olivetti?”

La mia risposta non sarà esaustiva, né vuole esserlo, ma saranno solo gli appunti di un portatore d’acqua relativi ad alcuni momenti cruciali, non quindi la storia del periodo di De Benedetti. Come uno dei tanti quadri intermedi olivettiani, non coinvolti nelle grandi decisioni strategiche e gestionali, perciò testimoni liberi da condizionamenti e reticenze, credo di poter dare un contributo alla domanda posta, anche avvalendomi di due documenti inediti, che Mario Caglieris ha voluto che conservassi insieme a quelli già pubblicati nel mio libro Olivetti. Una storia breve, che finisce per precisa mia scelta nel 1978 con l’ingresso di Carlo De Benedetti in Olivetti.

Inizierei, per chi non lo avesse letto, riportandone la sua chiusura:

Addio Olivetti, con uno sguardo al futuro

La Storia della Olivetti, la “Ditta” dei Fondatori, finisce qui. Abbiamo vissuto un sogno, non lo sapevamo. Poi sarà un’altra cosa.

Così disse Roberta Garruccio, in una sua conferenza l’11 maggio 2007, sul libro da lei scritto con Franco Novara “Uomini e lavoro alla Olivetti”, nei locali di quella che fu la Nuova ICO: «Fu la nuova cultura d’impresa portata da De Benedetti a distruggere la cultura precedente: la competizione interna non ne faceva parte; la Olivetti subì quindi una sorta di mutazione genetica e proprio il mutare delle politiche del personale si rivelò causa della crisi dell’Azienda più che conseguenza di questa».

Ragionamento in parte sovrapponibile a quello sviluppato nell’articolo da me scritto alcuni mesi prima per Tecnologic@mente1, per rispondere alla domanda: “Perché la Olivetti non c’è più?”2. In quello scritto appaiono evidenti i motivi che hanno portato l’Azienda alla sua completa dissolvenza.

Da un lato una gestione sempre più orientata unicamente al risultato finanziario, con il passaggio da una conduzione industriale mirata alla produzione e agli investimenti nella ricerca e sviluppo, alla loro progressiva diminuzione, favorendo sempre di più il buy (l’acquisto) anziché il make (il fabbricare), riducendo così drasticamente il valore aggiunto dei prodotti.

Dall’altro il passaggio da una forte integrazione aziendale, con un comune sentire e una forte identità di squadra vincente, all’esaltazione del risultato individuale, mirato a massimizzare quello generale, ma con risultati nefasti sulla conflittualità interna e sul risultato stesso a medio lungo termine”3.

Tuttavia, se questi sono i motivi di fondo, che costituiscono un fil rouge di tutta la gestione di De Benedetti, ma anche di quella del suo successore Roberto Colaninno, con conseguenze sempre più evidenti e gravi sul tessuto aziendale, ci sono nella Olivetti di De Benedetti alcuni punti nodali che ne hanno segnato la storia, prima in positivo e poi sempre più in negativo.

L’avventura olivettiana dell’ingegnere, come lo chiamano i media, inizia quindi nel 1978. Con l’apporto di nuovi capitali e le intuizioni finanziarie di De Benedetti, l’Azienda libera le energie compresse, dà pieno sfogo alla sua capacità progettuale e innovativa, mette in produzione i progetti che per lunghi anni aveva preparato e ritorna in attivo. 

Annota Beltrami: “Siamo stati costretti a finanziare con i debiti lo sviluppo dei nuovi prodotti che poi De Benedetti, arrivando in Olivetti, si è trovato in casa”4.

Nel 1983, grazie alle indubbie capacità negoziali di De Benedetti, la vantaggiosa alleanza con AT&T, porta a un quinquennio di grande sviluppo, facendo diventare la Olivetti il primo produttore di PC europeo e il terzo a livello mondiale, grazie alla fornitura alla AT&T del Personal Computer M24.

Gli interessi finanziari di De Benedetti sono però poliedrici e vanno molto al di là del perimetro Olivetti. L’operazione finanziaria che suscita però maggior clamore mediatico è, nel 1988, la tentata scalata alla Société Générale de Belgique, importante conglomerato industriale belga. Tutti ricorderanno una sua frase diventata famosa: “Sono venuto a suonare la fine della ricreazione”, ma viene contrastato con successo dall’opposizione dell’establishment locale e dal gruppo francese Suez. 

Tutte le altre numerose operazioni finanziarie dell’ingegnere, fatte utilizzando la finanziaria di famiglia CIR, non hanno avuto ripercussione sulla Olivetti, invece il tentativo di scalata del gruppo belga, sebbene anch’esso non abbia avuto ricadute sul bilancio Olivetti, essendo stata anch’essa gestita con i mezzi finanziari della famiglia De Benedetti: CIR e CERUS, ha avuto ricadute manageriali pesanti, come ci testimonia questa Intervista a Mario Caglieris del Professor Gianmario Verona (attuale rettore della Università Bocconi) del 14 settembre 2009, ad Ivrea nei locali della Rappresentanza del Palazzo Uffici Olivetti, a cui ero presente su richiesta dell’intervistato:

“A mio giudizio, la fine della Olivetti è cominciata quando De Benedetti ha lasciato l’Azienda, […] a un certo momento si fece prendere da quello che io chiamo complesso dell’avvocato Agnelli, che i piccoli industriali della cintura torinese hanno. Una mattina De Benedetti chiamò me e il suo segretario Mancinelli e disse: “Io non riesco più a dormire. L’Olivetti mi sta stretta, l’Europa mi attende”. Abbiamo detto è impazzito e fu la fine dell’Azienda.”

Dello stesso avviso Ottorino Beltrami: “I problemi son arrivati verso il 1986-1987, quando De Benedetti ha cominciato a pensare che l’azienda gli andava stretta e ha tentato la scalata della Société Générale de Belgique. Io credo che l’Olivetti richiedesse un impegno diretto e full time; non poteva essere considerata una specie di seconda occupazione”5.

Completo queste testimonianze con quella di Bruno Lamborghini, allora capo della Direzione studi e strategie, rilasciata a Paolo Bricco per il suo libro L’Olivetti dell’ingegnere6:

“In quel periodo in azienda si sentì in maniera fisica il suo distacco. Soprattutto perché, mentre era impegnato con CIR e CERUS su SGB, doveva decidere il futuro di Olivetti con AT&T. Nella Olivetti postadrianea vi era sempre stata una forte ricerca di leadership. De Benedetti ha dimostrato, fin dal suo ingresso, un grande carisma di leader. E quindi la sua assenza da Ivrea, in anni come il 1987 e il 1988 segnati anche da difficoltà di mercato, si sentiva e aveva effetti sull’impresa.”

Nel frattempo il rapporto con AT&T evolve e il partner americano propone la crescita del proprio pacchetto azionario in Olivetti fino ad acquisirne la maggioranza delle azioni.

In pratica l’acquisto di Olivetti da parte degli americani.

De Benedetti informa il Comitato Direttivo della sua decisione di vendere la Olivetti alla AT&T e qui, a seguito del suo annuncio, abbiamo la lettera inviategli da Mario Caglieris dell’8 aprile 1988. Forse, non a caso rimasta inedita. Di seguito i passaggi più significativi:

“Ingegnere,

la decisione che Lei ci ha comunicato circa il nuovo assetto della Olivetti rientra nella sfera delle competenze dellazionista e il Management non può che prenderne atto. […]

Lei può avere la nostra comprensione e il nostro rispetto per tali ragioni, ma non il nostro consenso e la nostra solidarietà nel merito della decisione. La responsabilità storica di questa è e resta esclusivamente Sua. A questo punto della trattativa, Lei dovrà concentrare tutti i Suoi sforzi nella definizione dell’accordo collaterale che regolerà i rapporti tra AT&T e Olivetti con l’obiettivo di assicurarne la identità e la autonomia, intesa come autonomia di missione, di strategie, di prodotti, di stile, di immagine e di cultura. In questa luce è importante la Sua permanenza alla Presidenza della Società […] La difesa dei nostri valori tradizionali è una esigenza anche in funzione dei risultati. Questa consapevolezza fa parte della nostra cultura ed è presente a tutti i livelli della dirigenza, non solo nei colleghi del Comitato Direttivo che contano una lunga anzianità di servizio. […] Quando gli uomini della selezione colloquiano i giovani ingegneri, specialmente i 110, che come sappiamo escono dalla Università con due o tre offerte di lavoro, e chiedono loro perché scelgono Olivetti, la risposta nella maggioranza dei casi suona così: “Perché è la Olivetti”. E’ questo l’augurio che Le formulo, che deve essere per Lei un impegno: in caso contrario Lei passerebbe alla storia come la persona che, dopo averla risollevata, ha distrutto la Olivetti dell’ing. Adriano”. Il finale è purtroppo profetico!!!

La Olivetti non viene però venduta. Mario Caglieris, nel settembre 2009 sull’onda dell’intervista del professor Verona, ad alcuni di noi Spille d’Oro, di cui lui è il Presidente, racconta: “De Benedetti sul volo per New York, dove si sta recando per firmare il contratto di vendita con AT&T, ci ripensa, per cui al suo arrivo nella sala dove sono tutti pronti per l’avvenimento, con lo champagne pronto per essere stappato, lui si apparta con Bob Allen, Presidente di AT&T, e gli comunica che non se ne fa nulla”. 

La rottura con gli americani si consuma presto.

Un amico, qualche tempo fa, mi diceva che, secondo lui, questo fu un fatto negativo per le sorti dell’Azienda, perché affermava che se fossimo stati acquistati ora ci saremmo ancora. Purtroppo, niente di più sbagliato. AT&T, bisognosa di una spalla informatica, acquista poco dopo NCR. Mario Citelli e Elserino Piol nel loro libro7 scrivono che: “Pochi anni dopo NCR era distrutta, non ne rimase che il nome”.

E’ a questo punto che, per la mia esperienza, matura “la madre di tutti i disastri”: la divisione dell’Azienda in due entità separate (così scrivevo nel 2007, ma ora vedo che anche altri lo pensano)8. E’ il 1988. L’idea è di Vittorio Cassoni, nominato da De Benedetti Amministratore delegato, marcando così il suo allontanamento dalla parte operativa ed esecutiva dell’azienda, confermando così quanto affermato da Caglieris nella sua intervista. L’idea della creazione di due società separate nasce dalla necessità di affrontare meglio il mercato dando una missione precisa a ognuna delle due nuove entità: la Olivetti Office e la Olivetti System and Network. I due nomi avrebbero dovuto definire, almeno nelle intenzioni, i settori di attività. 

Idea strategicamente forse corretta, ma concepita male e realizzata peggio. Questo è il giudizio di chi se l’è vista calare sulle spalle. Un’Azienda così profondamente integrata, unitaria nella sua struttura organizzativa e nel comune sentire delle maestranze, non si può spaccare in due dall’oggi al domani senza creare profonde lacerazioni e contrasti. La conflittualità che sorge, a causa della divisione, si diffonde dai vertici alla base, per l’acquisizione delle risorse, delle competenze, dei prodotti stessi, e infine dei canali commerciali. Prodotti e canali che teoricamente sono stati definiti e assegnati a ognuna delle due entità. E’ un periodo fortemente conflittuale che porta alla perdita di energie preziose e crea non poche confusioni sui canali commerciali, oltre alla duplicazione di strutture con conseguente aumento dei costi.

Il risultato è pesante, come certifica la tabella del Bilancio Consolidato del Gruppo Olivetti del 19929:

Negli stessi anni si è proceduto a massicce dismissioni del personale. Nel 1988 il personale è di 57.760 unità, nel 1992 si è ridotto a 40.401 unità10.

Mario Caglieris nel 1991, non volendo condividere un ulteriore taglio di 7.000 persone, si dimette.

Si esce da questa situazione nel 1992, quando finalmente ci si rende conto di quanto fosse stata negativa l’esperienza e si procede alla riunificazione dei due rami d’azienda.

Tutto finito? No, i dissapori, le conflittualità e gli strascichi di quegli anni non possono non riflettersi sui rapporti interni, la conflittualità aziendale, soprattutto a livello dirigenziale, rimane alta.

Nel settembre 1996 la fine dell’epoca benedettiana arriva improvvisa e inaspettata; si scoperchia “il vaso di Pandora” della grave situazione dei conti Olivetti, che diventa così palese a tutti e, quel che è più grave, alla Borsa e al settore Bancario, che blocca tutti i fidi. Questo, purtroppo, lo so per esperienza diretta. Quando ero in Elea, come Project Coordinator del progetto di retraining degli ufficiali russi alla vita civile (vedi mio precedente articolo: Olivetti. L’ultima sfida: l’Armata Rossa), dovendo trasferire a Mosca 100.000 $ per completare il progetto, ho dovuto ricorrere al nostro partner tedesco, la GOPA, con umiltà e trasparenza. Mai telefonata di lavoro e mail sono state per me più dolorose e fonte di imbarazzo. 

Tutto questo, perché tra il 4 e il 5 settembre avviene un vero e proprio colpo di scena: Renzo Francesconi, direttore generale, che il nuovo amministratore delegato Francesco Caio  (subentrato a Corrado Passera) ha assunto da un paio di mesi, si dimette dopo la riunione del consiglio di amministrazione, e dichiara prima all’ Ansa e poi al quotidiano milanese Mf “che, a suo parere, le perdite indicate nella relazione semestrale approvata da quel consiglio, circa 440 miliardi al 30 giugno ’96, sono in realtà inferiori al reale”11. Titolo a picco. A dicembre ’95 c’era stata una ricapitalizzazione Olivetti interamente sottoscritta12.  Immediato l’intervento della CONSOB. Mentre la Procura di Ivrea apre un’inchiesta per falso in bilancio. 

De Benedetti, dopo 18 anni, lascia la presidenza della Olivetti all’avvocato Antonio Tesone. Manterrà quella onoraria ancora per qualche anno. Anche Caio si dimette e gli subentra Roberto Colaninno, fino ad allora a capo della Sogefi (società del gruppo De Benedetti).

Quello che è avvenuto in seguito è la cronaca deludente e dolorosa della riduzione in “spezzatino” dell’Azienda con la “svendita”, non ai migliori offerenti, ma a chiunque fosse disposto ad acquistarne una qualche parte per quattro soldi. Ci si vuole semplicemente disfare del peso di quel che rimane per dedicarsi alla sola telefonia, intuizione geniale di Elserino Piol che, però, ha già lasciato anche lui l’Azienda dall’inizio del luglio 199613. 

L’azienda viene nuovamente divisa, i nomi sono cambiati, ma questa volta l’esito è diverso: l’OLSY (Olivetti Systems, parte dell’ex OS&N) è ceduta a Wang, l’Olivetti Personal Computer è anch’essa ceduta, l’Elea pure, e l’Olivetti Lexikon (in cui sono confluite le attività della Olivetti Office) diventa, dopo la cessione anche dell’Olivetti Syntesis, l’erede di quasi tutte le poche attività operative e industriali Olivetti rimaste. 

Si è giunti ormai alla pura speculazione affaristico finanziaria. Tutti sanno com’è finita.

Note

  1.  Laboratorio Museo Tecnologic@mente di Ivrea.
  2. Silmo, Il cambiamento e la scomparsa di una grande Azienda, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», N 1 – Febbraio 2007, pp. 19, 20. Vedi anche, G. Silmo, Dal mito al declino di una grande Azienda, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», Numero Speciale per il Centenario Olivetti 1908-2008 – Dicembre 2008, pp. 32-36.
  3.  G. Silmo, Olivetti. Una storia breve, Ivrea 2017, pp. 316-317.
  4. Beltrami (a cura di: A. De Macchi e G. Maggia), Sul ponte di comando dalla Marina militare alla Olivetti, Milano 2004, p. 242.
  5.  Ibidem, p. 288.
  6. P. Bricco, L’Olivetti dell’ingegnere, Bologna 2014, p. 280.
  7.  M Citelli, E. Piol, Adaptive Business Model. L’Olivetti dopo Adriano, Firenze 2016, p. 109.
  8. G. Silmo, Il cambiamento e la scomparsa di una grande Azienda, «Notiziario Spille d’Oro Olivetti», N 1 – Febbraio 2007, p. 20.
  9. Gruppo Olivetti Bilancio consolidato 1992, p. 8.
  10.  Ibidem
  11. Olivetti, Francesconi indagato, «La Repubblica», 26 ottobre 1996.
  12. M Citelli, E. Piol, Adaptive Business Model. L’Olivetti dopo Adriano, op. cit., p. 169.
  13. Ibidem, p. 170

Comments

  1. Buongiorno Dott. Moncada
    condivido completamente il suo stato d’animo che è lo stesso che mi ha portato a terminare il mio libro “Olivetti.Una Storia breve” al 1978.
    L’idea di De Benedetti che la tecnologia fosse una commodity, acquistabile ovunque da chi la produceva, ci ha portati da leader(Elea 9003- Programma 101 – ET 101 – M 24) a follower destinati alla scomparsa.
    Con la scomparsa di una grande azienda tecnologica come la Olivetti a essere pesantemente danneggiata è stata l’Italia, che ora è l’ultima in Europa per la digitalizzazione. Con questo non voglio ulteriormente rattristarla perché come dice il mio amico Paolo Rebaudengo questa ormai e storia con cui tutti dobiamo farci i conti
    Un caro saluto
    Giuseppe Silmo

  2. OLIVETTI
    ***
    Quando la nostalgia bussa al cuore,
    una nuvola di ricordi vaga nell’aria
    e poi si posa sui petali di sogni vissuti
    e di speranze mai sopite,
    di esperienze scritte in un libro
    in tanti anni di grande passione
    *
    per una realtà,
    *
    che come “tarli”, di un nobile legno,
    l’han consumato,
    hanno staccato i petali di una rosa,
    che emanava profumo di lavoro e futuro,
    han lasciato il suo stelo lentamente morire,
    e più non si sente, come note di musica,
    il ticchettio di tastiere,
    i suoi boccioli di fantasia,
    e i sogni di Adriano non fioriscono più.

    ***
    Lino Mattaliano,
    (dai ricordi degli ultimi anni, dei 35 vissuti con dedizione e passione in Olivetti).

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