direttore dei Centri Comunitari di San Giovanni in Fiore e di Napoli Secondigliano; in Olivetti si è occupato di gestione e di formazione del personale; dirigente della formazione quadri e dirigenti delle Cooperative di Consumatori aderenti alla Lega Nazionale delle Cooperative; direttore delpersonale e dell’organizzazione di CISA spa; Vice Direttore Generale di SITE spa; Direttore Generale di META spa e della Fondazione Aldini Valeriani.

All’età di 101 anni, passati tutti, sino alla fine, in salute e densi di attività imprenditoriali e sociali, è deceduto due giorni fa Marino Golinelli, Presidente della AlfaSigma, multinazionale farmaceutica e della Fondazione Golinelli attraverso la quale si è generosamente occupato della formazione dei bambini, dei giovani, dei docenti, in campo scientifico e della complementarietà tra scienza e arte. Appassionato filantropo anche nel settore musicale. La sua  Fondazione continuerà le attività, grazie al suo lascito e agli spazi che fece costruire a pochi chilometri dal centro di Bologna.

La Fondazione Marino Golinelli è un’avventura parallela all’azienda che nasce nel 1988 solo corrispondendo all’intenzione categorica di “ridare alla società parte della fortuna che ho ricevuto”. Gli intenti sono chiari sin dall’origine e hanno nei giovani i propri destinatari, per costruire percorsi aperti a forme innovative del conoscere, all’intersezione tra capacità tecniche e creative. Si tratta di un’iniziativa di cui la città a poco a poco si è accorta, perché in questi anni nell’ampio ventaglio delle attività promosse dalla Fondazione hanno ruotato più di 800.000 persone, provenienti da tutt’Italia.

Ebbene, dal 3 ottobre 2015  la Fondazione Marino Golinelli si è dotata di una casa-città, un edificio dedicato che ne ospita le attività in modo permanente e la rappresenta. L’intervento, per un investimento complessivo di 12 milioni, in soli due anni ha strappato al degrado 9.000 mq delle ex fonderie Sabiem e predisposto uno spazio aperto ad accogliere iniziative per 150.000 persone l’anno. Si tratta dell’Opificio Golinelli: “Opificio”, appunto, “casa del Fare”, perché se vi è una cosa chiara sin dall’ingresso, questa è il primato operativo della conoscenza, ossia il fatto che si può imparare solo facendo, ovvero toccando, ascoltando, vedendo, analizzando e correggendo l’errore. Ne segue un progetto magistrale, curato dal giovane diverserighestudio (Simone Gheduzzi, Nicola Rimondi, Gabriele Sorichetti) come passeggiata sinestetica atta a favorire l’appercezione del sé nella diversa stimolazione dei sensi: per la gioia di Juhani Pallasmaa, si vede con gli occhi ma anche con le mani all’Opificio Golinelli, e la presenza di una camera anecoica annienta il riverbero dei suoni per restituire all’udito l’acutezza e la meraviglia del sentire dopo la percezione di un inusuale silenzio.

Lo scopo è chiaro: educare alla componente scientifica dell’arte e all’intuizione artistica della scienza, abrogandone i confini, demilitarizzandone i reciproci sospetti e le difese. “Un’architettura come sistema di soglie aperte”, ci dice Simone Gheduzzi, “dove mentre si osserva l’infinitamente piccolo nell’occhio dei microscopi della Scienza in pratica [un laboratorio dotato di tanti strumenti da fare invidia a un’università; n.d.a.], si può alzare lo sguardo e guardare il cielo, tra gli shed trasparenti dell’edificio, in uno sbalzo di scala immediato tra il micro e il macro”.

Il grande volume cavo di queste ex fonderie è stato trasformato in uno spazio duttile, in classe A, capace di produrre 50 kilowatt di energia pulita con pannelli fotovoltaici e restituirla cautamente in illuminazione controllata, sensibile al numero e al passaggio degli utenti e alle condizioni dell’illuminazione naturale. Nei volumi vuoti di questo nuovo opificio della conoscenza si sviluppa una sequenza di edifici leggeri tra piazze e strade, a suggerire un’articolazione tipicamente urbana. Si educa così alla cittadinanza responsabile in uno spazio costruito a immagine della città, in un’architettura nell’architettura dove gli uffici paiono il palazzo del Comune (vibranti di un rosso policarbonato), la Scienza in Piazza un grande spazio aperto sotto una nuvola di palloni ad assorbire diverse colorazioni, il giardino delle imprese una struttura a sbalzo come una gru da cantiere, quasi a rappresentare le ali dell’impresa e il necessario slancio dell’osare.

Il progetto strutturale, curato con la direzione lavori dall’ingegnere Lanfranco Laghi, esalta i nodi strutturali, dando sempre la possibilità di distinguere tra ciò che è portante e ciò che è portato: diaframmi realizzati in policarbonato colorato, tamponamenti in Osb o in volumi contenitivi in Mdf trattato a vista, quando non in acciaio con calamina. Un progetto di ricchi dettagli dunque, che per un ex stabilimento industriale mette in scena un uso innovativo dei materiali dell’edilizia industriale.

“All’esterno l’Opificio risplende, bianco, in una periferia di molti colori e qualche grigiume, in un’area in grande dinamismo lungo il braccio occidentale della via Emilia, che certo di trasformazioni ne ha viste parecchie, non ultima e non lontano il MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, un’altra iniziativa con la quale un altro colosso privato (il Gruppo COESIA della signora Isabella Seragnoli) ha dotato di un condensatore socio-culturale di rilevanza globale un’anonima periferia che prima quasi non conosceva nessuno.

Ora nel paesaggio di questa Bologna qua e là decadente, la Fondazione Golinelli introduce una nuova perla d’inestimabile valore e non già e non solo per l’edificio, ma perché questa volta l’edificio è casa di un progetto che ha già un ventennio di tradizione e di cui rappresenta solamente la lucente porzione visibile. Programmi e progetti differenziati, secondo le età e le scuole, dai 18 mesi ai 25 anni, promossi nei nomi fantasiosi con cui Golinelli li ha denominati, per convincere ogni soggetto delle sue capacità, e trasformarlo in protagonista e imprenditore di se stesso. E a una signora che  non ha potuto fare a meno di fermarlo negli spazi della sua Fondazione per ringraziarlo, commossa, di tanta generosità, Golinelli ha risposto “Quanti anni ha suo figlio?”, “Otto…”; e lui: “Allora è proprio il tempo di cominciare!”.

Nessun privato interesse se non quello di dare concretezza ai propri sogni e una casa alla divulgazione e all’insegnamento dei propri nobili principi: la fiducia nell’uomo e la responsabilità sociale del fare impresa.

Marino Golinelli all'inaugurazione

Marino Golinelli all’inaugurazione

Golinelli appartiene a quella generazione robusta che si forma negli anni della guerra. Terminato il conflitto, in antitesi e antidoto alla distruzione in serie prodotta dall’industria degli armamenti, fonda l’Alfa Farmaceutici, per contribuire a guarire in serie, applicando i principi dell’industria alla chimica farmaceutica. L’azienda negli anni ottanta accorpa Wassermann e, in un cammino di progressivo successo e nel maggio 2015 aggrega Sigma-Tau a formare l’odierna Alfasigma, “tra i primi cinque operatori in Italia nel settore farmaceutico, (…) con un fatturato di un miliardo di euro” (da Luigi Bartolomei, “L’opificio Golinelli, casa-città alla periferia di Bologna”, Il Giornale dell’Architettura, 13.10.2015).

Mauro Casadio Farolfi fondatore e Presidente dell’associazione “Città dell’Uomo” (2004-2015) con sede ad Imola, organizzatore di tredici convegni su temi olivettiani e curatore del volume Quattro anni con Olivetti, Editrice la Mandragora, Imola 2008, chiese a Marino Golinelli quali affinità vi fossero tra il suo lavoro e quello svolto da Adriano Olivetti. Con il titolo Tre domande a Marino Golinelli, Presidente della FONDAZIONE “MARINO GOLINELLI” l‘intervista venna pubblicata sul libro citato.

Ci può illustrare il messaggio che trasmette la sua azienda?

La mia esperienza imprenditoriale nasce da una visione del mondo e della scienza fortemente influenzata dal mio percorso di formazione, fin dalle scuole medie superiori con gli studi di chimica, poi all’Università di Bologna presso la facoltà di farmacia. Da questo percorso è scaturita la volontà di investire nei “farmaci per la salute dell’uomo”. Così nel 1948 rilevai un piccolo laboratorio per la produzione di farmaci, nel ’68 iniziai a investire nella ricerca, e da questo nucleo si è sviluppata Alfa Wassermann, un’azienda privata che partendo da una struttura manageriale di tipo familiare ha assunto le dimensioni di un gruppo di rilevante presenza nazionale e internazionale (Europa, Stati Uniti e Cina). Credo che un’iniziativa imprenditoriale apportatrice di innovazione debba essere connotata da un forte senso di responsabilità sociale e civile. Ho sempre tenuto disgiunta l’impresa da attività finanziarie, speculative o investimenti di altra natura perché ritengo che l’azienda non debba solo produrre ricchezza, ma anche sviluppare impegno nella valutazione delle ricadute sulla società delle scoperte scientifiche e delle loro applicazioni. La funzione dell’impresa si deve integrare con un impegno di natura etica e sociale con iniziative concrete. Con questo spirito nel 1988 ho dato avvio alla Fondazione che porta il mio nome e che ho volutamente tenuto disgiunta dal marchio aziendale. La Fondazione, di ispirazione anglosassone e a carattere filantropico, è dedicata alla divulgazione della cultura scientifica e fornisce un supporto alle giovani generazioni con iniziative di didattica e formazione, perché solo grazie alla diffusione della cultura scientifica e allo sviluppo della creatività i giovani cittadini del XXI secolo avranno una chance di competitività in un futuro globalizzato.

Quali affinità corrono tra la sua azienda e quella di Adriano Olivetti?

Ritengo che accomuni le nostre esperienze imprenditoriali una visione del sociale in cui le esigenze dei cittadini si integrano con le aspettative economiche, ambientali, sociali di cui un’impresa deve tenere conto adottando un comportamento socialmente responsabile e sperimentando un connubio virtuoso fra etica e produzione. Un altro importante punto di contatto ritengo sia l’impegno ad attivare iniziative per lo sviluppo di una sinergia fra impresa e cultura, cultura intesa come visione del mondo e delle sue problematiche, in una rappresentazione a più dimensioni dell’uomo che coniuga filosofia, storia, scienza, arte, scienze sociali, geografia, economia.

Qual è l’eredità più importante di Olivetti; il suo pensiero è ancora attuale?

L’eredità più importante di Olivetti si raccoglie nella sua visione d’avanguardia, in particolare per quanto concerne il “ruolo sociale dell’impresa”, e il suo volere un’azienda fortemente radicata nel territorio pur essendo in grado di confrontarsi col mercato mondiale. Ritengo che questo sia di grande supporto per coloro che oggi devono assumersi responsabilità di gestione politica e imprenditoriale in un contesto che deve sempre più fare i conti con l’internazionalizzazione dei mercati, delle tendenze, della stessa ricerca. Il Nostro Paese si trova oggi a dover affrontare degli squilibri che inevitabilmente si determinano, non solo a livello nazionale ma anche europeo, dall’affacciarsi di nuove culture e nuovi paesi, come Brasile, India e Cina, che entrano prepotentemente nell’agone internazionale rendendo inevitabile il confrontarsi con nuovi paradigmi culturali, sociali ed economici.

 

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