consulente di direzione, giornalista pubblicista, docenza ventennale di Comunicazione d’impresa a Scienze Politiche Università di Firenze, manager alla Olivetti (1961-1989), dove ha diretto la selezione dei quadri, la scuola centrale della formazione commerciale, la Divisione prodotti per ufficio, la Pubblicità di Gruppo

di G.C.Giovanni Maggio

“ …  il valore permanente delle ragioni di quel successo d’impresa: la responsabilità e capacità di costante innovazione e anticipazione, realistica e audace, razionale e immaginativa, votata all’eccellenza dei prodotti, alla qualità della vita lavorativa, all’elevazione della vita sociale.” Sono parole di Franco Novara in esergo al suo libro Uomini e lavoro alla Olivetti del 2005, che raccoglie venticinque testimonianze di olivettiani fedeli ai valori di Adriano. Paolo Volponi era scomparso un decennio prima, ma è presente nel coro di quelle voci, fa parte di quella squadra di

“ imprenditori costruttori di futuro” a cui subentreranno ” cacciatori di valori azionari, speculatori di mercato borsistico, artefici di partecipazioni incrociate e di piramidi societarie…”( ibidem)

A confermare e a certificare l’importante ruolo svolto da Paolo Volponi nella storia della Olivetti e a correggere la sua immagine prevalente e consolidata di scrittore, poeta, intellettuale, pensatore, si incarica Maria Laura Ercolani con il suo libro “Paolo Volponi. Le sfide del Novecento. L’industria prima della letteratura”, pubblicato da Franco Angeli.

L’autrice, anche lei urbinate, docente universitaria, si dimostra appassionata ed attenta ricercatrice dell’intera storia di Volponi, della complessa inafferrabilità del personaggio, attraverso non solo la ricognizione della vasta, difficile, produzione letteraria,  ma soprattutto con la ricostruzione, accurata, documentata della  sua vicenda olivettiana.

Il libro è la biografia di una vita straordinaria dove il racconto riesce a dare il senso complessivo di un’esistenza tumultuosa, ricca, con  le sue amarezze, gli  sdegni, l’irrinunciabile fiducia nella vita, l’impegno umano e politico di un personaggio epigone di tutta un’epoca che ancora ci coinvolge.

Ercolani  ha il merito di avere spostato Volponi dal nobile e nutrito scaffale della “letteratura  ai tempi di Adriano” e di averlo proposto come personaggio singolare, unico, campione proteiforme non solo di intellettuale protagonista nel panorama culturale del tempo, ma concreto  homo faber nell’impegno quotidiano di dirigente iscritto alla scuola di Adriano Olivetti, che realizza quell’utopia con gli atti della progettazione, della conoscenza, della gestione delle risorse , della magistratura  del personale, con l’attenzione vigile e continua alla persona, al suo destino, alla sua crescita, alla sua sofferenza, alle sue speranze.

Il libro testimonia come non si esaurisca la ricerca sui temi della cultura olivettiana.

Preme un giacimento, ancora inesplorato, di un patrimonio d’idee, di protagonisti inventori di esperienze innovative.  La ricerca della Ercolani continua a sviluppare quel processo di elaborazione di memorie e di verità,  attraverso un faticoso, enorme lavoro di ricerca, di confronti, di interviste: il libro costituisce un documento che non potrà non essere citato da chi vorrà affrontare la storia dell‘industria  italiana.

Ho lavorato con Paolo Volponi, direttamente alle sue dipendenze come responsabile del recruiting dei laureati, prima di Federico Butera, estensore della  importante prefazione al libro, ed in seguito come responsabile della scuola di Firenze, il  CISV per gli olivettiani, la prima corporate university italiana per la formazione del management commerciale del Gruppo Olivetti.

E’ per questa ragione che l’autrice ha voluto sentirmi in lunghe  conversazioni telefoniche. Avevo capito che della storia di Volponi sapeva molto più di me e che aveva studiato in profondità e con impegno il periodo di Volponi alla Olivetti.

Ritrovo quel giudizio nella lettura del libro, dove la narrazione aggiunge senso alla mia vita di quella stagione irripetibile, ricca di suggestioni, di orgoglio per far parte di una singolare squadra caratterizzata dal pascaliano esprit de finesse et géométrie. ( Thinkers and doers, theese olivettians ! Concludeva così un nostro seminario un importante consulente di Harvard.)

Nel 1966, sei anni dopo la morte di Adriano, Volponi assume la responsabilità della Direzione del personale della Olivetti che si chiamerà, a significare innovazione nella gestione del capitale umano, Direzione Relazioni Aziendali.

La direzione di Volponi dura poco, dal ’66 al’71. Sono cinque anni in cui il “creator spiritus” adrianeo riesce a resistere nella cultura della Olivetti grazie all’impegno di  fedeli olivettiani  che credono ancora  nella “eccezione Olivetti”, impresa non solo di capitali, di prodotti avanzati e di successo, di buoni numeri dei bilanci, ma il cui fine va oltre l’indice dei profitti, conduce i destini degli uomini verso ideali di bellezza, di rispetto della persona, di armonia dei luoghi di lavoro.

Volponi è forse il più importante attore di quella resistenza, del presidio di quello spirito.  La sua Direzione rappresenterà in quei cinque anni un rilevante potere centrale, razionale, organizzativo, funzionale alle strategie ed allo sviluppo della Società. Esercita potere, per consenso e non per autoritarismo, soprattutto nella gestione e nello sviluppo della competenza distintiva della Olivetti, costituita principalmente dalla sua singolare originaria cultura d’impresa, chiave del suo più rilevante vantaggio competitivo.

Ercolani raccoglie molte dirette testimonianze dei collaboratori di Volponi, descrive la nuova gestione del capitale umano, l’utopia del  “dirigere diverso”, la creazione liberatoria delle condizioni culturali che hanno permesso a ciascuno di noi di esprimere le proprie capacità e di essere protagonista e partecipe del successo dell’azienda. Ne risulta la particolarità del modo di dirigere, fondato sulla cultura e sul dialogo, apertura delle gabbie mentali dei ruoli e delle gerarchie irrigiditi dopo la morte di Adriano, fiducia e spazio dati ai giovani di mente e cuore aperti volti al futuro e al cambiamento.

Il libro dà giustamente ampio spazio alla riorganizzazione della tecnostruttura, ( la sociologia industriale, Gallino, Butera), un tema  importante, ma  che risulta  sovrastante  nella definizione complessiva dei risultati di quella Direzione.

Avrebbe meritato forse più spazio la citazione della gestione avanzata delle relazioni sindacali ( Chapperon) che assicura  alla azienda  “la navigazione sicura attraverso gli sconquassi degli autunni caldi” (Gabriele) e soprattutto la gestione e lo sviluppo dei processi di education. I processi di formazione vengono, in un piano di potenziamento e di sviluppo, riuniti in unica direzione affidata all’ingegnere Giorgio Sacerdoti, progettista insieme a Tchou dell’elaboratore ELEA.

Si avvia un enorme piano di conversione del personale, sia tecnico, che commerciale. A Firenze, al CISV, viene avviato la più visionaria rivoluzione formativa di massa tesa a trasformare in system engineer persone che avevamo assunto per vendere macchine per scrivere e da calcolo: riusciranno a vendere sistemi di intelligenza distribuita a molte grandi imprese e quasi tutte le banche italiane vincendo la concorrenza della IBM.

Quando Volponi viene a visitare la scuola di Firenze, lo ricordo, è preparato, ha le idee chiare su questo processo appena iniziato, si complimenta con rurale asciuttezza, ci incoraggia, cita Roberto Olivetti per il suo visionario sogno interrotto di salvataggio dell’elettronica, ricorda Galassi e la sua invenzione del settore commerciale come salvaguardia per la conservazione dei posti di lavoro nella fabbrica.

Il dirigere diverso, scrive la Ercolani, si era dimostrato efficace, aveva consentito il rilancio della Olivetti, tanto che Visentini, presidente dal 1964, aveva appoggiato incondizionatamente Volponi nel suo lavoro e nei suoi progetti fino a proporgli la funzione di amministratore delegato.

Lo sviluppo di questa proposta e la storia della sua mancata realizzazione sono molto complicati e per certi versi ancora da decifrare. Sulle incertezze e i dubbi di Volponi l’autrice riporta due lettere di Volponi a Pasolini : “Ho avuto la proposta di guidare la Olivetti tutta e l’ho rifiutata perché un tale potere mi sgomenta….” E poi “accettare la Olivetti sarebbe bello per la potenza per il danaro, ma sarebbe difficilissimo e del tutto assorbente: da annichilire”. La ricorrente antinomia, la poesia e il potere.

Volponi dichiarerà poi: “Ho litigato con il presidente, un politico, perché non eravamo d’accordo sull’assetto da dare all’azienda, lui diceva, caro Volponi le industrie le fanno gli uomini ed io invece risposi : sì le fanno gli uomini, ma non i cosiddetti capitani d’industria, bensì tutti gli uomini che lavorano in azienda.” 

Le ragioni dello scontro-tradimento, che saranno il tema di Le mosche del capitale, sono chiare: si contrapponevano due visioni del lavoro, della fabbrica, della società del potere. L’uscita dalla Olivetti per Volponi fu drammatica: la sua brillante carriera nell’industria italiana più prestigiosa era spezzata, il grande progetto di riforma democratica dell’azienda era interrotto, conclude l’autrice.

La partenza di Paolo Volponi fu una sconfitta non solo per lui ma per quelli che avevano creduto nella ritrovata utopia concreta di Adriano, l’originaria cultura d’impresa della Olivetti. Quel momento segna, a mio parere, il secondo momento del declino inesorabile della Olivetti dopo la svendita della divisione elettronica alla General Electric. La squadra dei collaboratori si dissolse, molti trovarono importanti collocazioni come capi del personale nelle più rilevanti aziende italiane, Rinascente, Barilla, Italcementi  …., altri  affluirono nell’insegnamento universitario, nella consulenza di Direzione.

In Olivetti il Personale perse gradualmente la sua funzione centrale, regolatrice delle strategie dell’impresa, basata sul rispetto e la valorizzazione della persona.  Prevalse la gestione scientifica della riduzione delle eccedenze. Il Personale fu incaricato progressivamente, anche attraverso costosi seminari di prestigiosi consulenti internazionali, di gestire la torsione dolorosa dei valori e dei principi adrianei, divenne strumento docile di politiche e strategie basate esclusivamente sul profitto. Arrivarono nuovi capi specializzati come tagliatori di teste, accompagnarono, con l’irresponsabile spavalderia degli yes man, la terza normalizzazione, quella definitiva della finanziarizzazione e della deindustrializzazione della Olivetti, fino alla  sua definitiva scomparsa.

Paolo Volponi in Olivetti fu dimenticato. Furono cancellate le tracce del suo lavoro, in un ignavo processo di damnatio memoriae. Qualche partigiana fiamma di rammarico e di nostalgia si riaccese quando fu pubblicato il suo libro Le mosche del capitale. Renzo Zorzi, allora direttore della Corporate Image, con cui avevo collaborato come responsabile della pubblicità del Gruppo, si produsse in due dense paginate sul Sole-24 ore. Volponi fu accusato di avere maturato a freddo un atto di avvelenato risentimento. Altri parlarono di furore antindustriale, dimenticando che libro era dedicato ad “Adriano Olivetti, Maestro dell’industria mondiale”.

Furono pochi, tra cui Franco Fortini, a difendere Volponi e ad essere dalla sua parte. In azienda, in cui ormai si respirava un’aria di sottomesso, triste, finale conformismo, se ne discusse sommessamente.

Alcuni, pochi, quelli che ancora si ostinavano a mostrare dietro la scrivania la foto di Adriano Olivetti, furono dalla parte di Volponi.

Fiesole, 20 aprile 2020.

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