urbinate, biografa di Paolo Volponi (Maria Laura Ercolani, Paolo Volponi. Le sfide del Novecento. L'industria prima della letteratura, Franco Amgeli, Milano, 2019), ha curato con Paolo Giannotti la pubblicazione dei Discorsi parlamentari (1984-1992) di Paolo Volponi. Docente di Letteratura italiana e Storia nelle scuole secondarie di secondo grado. Collaboratrice didattica per l'insegnamento di Storia contemporanea nell'Ateneo degli Studi di Urbino.

Perché dobbiamo ricordare Paolo Volponi.

Maria Laura Ercolani

La grandezza di Paolo Volponi , oltre la sua attività letteraria , il suo lavoro nell’industria e il suo impegno politico  è nella passione civile e nell’impegno con cui ha vissuto il suo tempo affrontando le sfide che esso poneva nel suo evolversi e lottando per una società migliore, autenticamente democratica.

Era nato nel 1924, crebbe nell’era fascista, ma per il suo carattere , per le condizioni in cui si trovò a vivere e le persone che incontrò, maturò un pensiero del tutto indipendente.

La formazione di Volponi si compì  a Urbino. Il suo modo particolare di porsi dentro la società e contemporaneamente il suo distacco critico da essa; i suoi valori e i suoi ideali; l’amore per la natura, l’attenzione al lavoro dei contadini e degli artigiani; l’attitudine all’osservazione e all’ascolto; l’insofferenza verso ogni forma di chiusura; il rispetto profondo verso ogni essere – uomo, animale, pianta – e infine la curiosità verso le forme della vita e della società erano già formati e forti quando egli partì per Milano con la volontà di cercare una occasione per entrare nell’industria.

A Pesaro, incontrando gli studenti – era il 1982 – disse: “Quello era il clima  di Urbino che in fondo ha toccato la mia coscienza e la mia formazione, le mie insufficienze e i miei dolori e la mia poesia , e poi anche appunto la mia ragione di scrittore nasce lì dentro, all’interno di questi dolori, di queste dure culture e delle loro pesanti stratificazioni sociali.”( Il Gusto dei contemporanei, quaderno numero uno, 1985, p.9).

Un forte scossone al mondo piccolo e chiuso di Urbino lo portò l’arrivo degli alleati nel ’44  con il conseguente, dirompente impatto  con la cultura americana; ma determinante fu per Volponi l’incontro con Adriano Olivetti e la cultura olivettiana.

“Quand’è che poi io in realtà ho cominciato a scrivere un libro? Quando […] sono andato a lavorare nelle fabbriche di Ivrea ed ho visto da vicino le difficoltà ed insieme anche lo slancio , le fatiche, il dolore insieme alle grandi qualità , le grandi capacità realizzatrici  del lavoro industriale , i conflitti  umani e sociali che c’erano dentro la fabbrica e ho scritto un romanzo.

Non perché in quel momento andavano di moda i temi di letteratura-industria […] , ma perché reagivo con la mia anima e con la mia ansia di conoscenza ad una realtà che era quella del lavoro industriale in sviluppo, in crescita dentro il cuore di un vecchio ambiente contadino come era il canavese olivettiano, e ho scritto Memoriale.” (Il Gusto dei contemporanei, p. 16).

Volponi portava a Ivrea l’umanità e la curiosità che lo avrebbero sempre spinto avanti nella vita in un percorso di crescita in cui niente delle esperienze passate andava perduto. 

Era  un uomo di grande umanità, passione civile e capacità immaginativa e progettuale e  incontrò Adriano Olivetti, di altrettanto grandi  umanità e passione di progettare il futuro; e poteva farlo disponendo di potere e capitali.

Adriano intuì le potenzialità di Paolo Volponi e il giovane urbinate lavorando per  lui e con lui trovò la possibilità di realizzare quello che aveva in animo. Dall’osservatorio privilegiato dei Servizi Sociali, prima, e della Direzione del Personale, poi, dell’Olivetti poté allargare lo sguardo alla realtà internazionale e confrontarsi  con aziende d’avanguardia, economie più avanzate e società democraticamente più mature e, in contatto continuo con gli psicologi e i sociologi  del suo staff, studiò le dinamiche dell’evoluzione della società italiana maturando una conoscenza vasta e profonda che divenne la  base per l’analisi e la soluzione dei problemi che si trovava e che si sarebbe trovato ad affrontare. 

Questo patrimonio di conoscenze sarà alla base della sua attività letteraria, di intellettuale e di politico. Nessun altro scrittore del Novecento  poteva raccontare così approfonditamente e con così chiara consapevolezza il proprio tempo.

Dentro la fabbrica conobbe da vicino la realtà del lavoro, dalle officine agli uffici della direzione, e organizzò un sistema di welfare basato sulla cultura e la qualità della vita che divenne un modello a tutt’oggi insuperato. Partecipò alle  discussioni sindacali interne all’azienda affinché le rivendicazioni degli operai andassero oltre le richieste di aumenti salariali in una visione complessiva del miglioramento del lavoro. E in Olivetti si arrivò, primi in Italia, al riconoscimento delle 150 ore retribuite per attività culturali.

Volle che tutti sapessero dei danni  sociali prodotti da una economia basata esclusivamente sulla produzione industriale esasperatamente competitiva, ancora di tipo ottocentesco e con la scrittura rappresentò quanto stava accadendo e cercò di provocare nei lettori una presa di coscienza e un atteggiamento critico   di fronte alla degenerazione della società che  assorbiva  pesantemente e portava nei comportamenti quotidiani la logica della cultura dominata dal capitale; e in nome di un individualismo sempre più esasperato e conflittuale frantumava i rapporti sociali e frammentava il tempo e sacrificava i progetti generali e il bene comune all’interesse immediato e personale. 

E si  impegnò per riportare al centro della società il lavoro. Il lavoro non come attività servile, ma come espressione dell’intelligenza e della creatività individuale e come base dei rapporti sociali. 

Avviò la sperimentazione per eliminare la lavorazione a catena, il lavoro più umiliante perché  meccanico, ossessivamente ripetitivo, indegno  di un uomo. E in Olivetti si realizzò per la prima volta in Italia la lavorazione a isole.

Mise in atto un vasto programma di studio e formazione per i dipendenti di tutti i livelli: attivò le energie, l’intelligenza innovativa, lo spirito di collaborazione, l’orgoglio di ciascuno, in altre parole permise all’Olivetti di superare la crisi seguita alla morte di Adriano  dimostrando che la qualità e il successo di una azienda sono assicurati  dalla valorizzazione di coloro che vi lavorano, non dal massimo sfruttamento. Innovò la cultura dei venditori affinché fosse improntata alla collaborazione, al rispetto e alla comprensione delle esigenze del cliente e dei suoi problemi e non allo spirito di conquista del mercato.

Infine nella prospettiva di assumere la Direzione dell’Azienda preparò un piano di riorganizzazione generale della Olivetti contro il verticismo e il centralismo di Ivrea, nella logica di una visione democratica e policentrica.

Contro la demonizzazione dell’industria che si andava diffondendo propose una industria moderna, soggetto attivo in una società democraticamente avanzata portatrice nella società della cultura della efficienza, della competenza, dello spirito di  collaborazione, del rispetto e valorizzazione degli individui, della comunità e del territorio. 

Da qui dobbiamo partire per onorare Volponi, dalla sua umanità; dalla passione per la conoscenza e l’amore per la verità; dall’intenso lavoro  per trasformare i progetti in concrete realizzazioni e infine dalla vasta e profonda conoscenza del suo tempo che gli permise di comprenderlo e di raccontarlo più efficacemente di alcun altro scrittore del Novecento. 

Nella crisi generale dei valori e del lavoro che stiamo attraversando egli ci appare non solo un grande del passato, ma un punto di riferimento per orientarci nel presente e guardare al futuro.

Urbino, 6 gennaio 2024

 

 

 

 

 

 

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