Coordinatore scientifico di Olivettiana, Filosofo, in Olivetti dal 1969 al 1994 presso la Direzione Relazioni Culturali.

Giuseppe Silmo, Olivetti. Una storia breve, Hever Editore, Ivrea 2017
Prefazione di Emilio Renzi

Il libro di Giuseppe Silmo, Olivetti. Una storia breve, spicca tra la crescente messe di libri, memorie e ricerche specialistiche su Adriano Olivetti e sulla Società fondata dal padre Camillo, per un suo proprio timbro. È un libro di passione.
Una passione vissuta dall’intermo stesso della Società: dal posto di lavoro per molti anni. Una
passione che non si è affievolita e spenta con il congedo, al contrario: un impegno costante a organizzare i già colleghi e gli ospiti per quella che chiamerò “una memoria attiva” della Società Olivetti.
Tre personalità e biografie diverse, ovviamente, ma tutte importanti per la nascita e sviluppo e
trasformazione della Società nello sviluppo e trasformazione dall’Italia agricola degli anni Trenta all’Italia industriale, europea e internazionale degli anni Sessanta e Settanta. Camillo il fondatore, che si farà crescere una lunga barba bianca da profeta religioso; il figlio Adriano, dagli occhi singolarmente cerulei, pensatore politico e dirigente industriale per il quale Verità Rispetto Bellezza sono state le virtù apicali del suo intenso ma breve arco terreno; suo figlio Roberto, uomo di stile per riservatezza, che farà tutto quello che era possibile per sviluppare e salvare l’informatica, cui per prima Olivetti aveva dato nascita in Italia e a ben vedere nel mondo.

Silmo non dispiega soltanto la sua memoria: vuole essere un convocatore di testimoni, di critici, di storici. Li fa giocare anche quando le loro scritture non coincidono esattamente: tanto meglio. Come un detective testardo, cerca di sciogliere le contraddizioni e di portare il lettore a una verità credibile, per piccola che sia. Le fonti variano: dalla teatralizzazione, così comprensiva suggestiva incontrovertibile della pièce di Laura Curino, ai libri anche ponderosi dei dirigenti e degli storici, alle precisazioni di minori dimensioni di colleghi, o della stampa aziendale o locale. Solo nei punti in cui li ritieni necessari riporta dati di bilancio, che in una narrazione, come si sa, non sono precisamente il condimento più saporito.

La storia della Olivetti è costruita da Silmo come una successione di tre grandi periodi (verrebbe da dire, dato l’empito di fondo, come tre navate di una cattedrale: non barocca, si sarà capito, ma romanica e razionalistica a un tempo).
Il primo periodo va dalla fondazione alla fine della guerra: Silmo lo chiama della “Formazione”. La Società viene formata – “forgiata” è forse ora il verbo più giusto – da Camillo in un’Italia che sta compiendo i cinquant’anni dall’Unità ma di cose ne ha da fare, una per tutte: far scrivere e far calcolare con macchine forti e perfette, ché i risultati nel lavoro d’ufficio e nei rapporti personali si fanno valere.

“Classico” è il secondo periodo – e verrebbe voglia di chiamarlo “Rinascimentale”. Adriano
rilancia la “fabbrica” (come diceva lui), in rapporto con il Movimento di Comunità che fonda in quegli anni. Ma è una “fabbrica” come nessuna in Italia: ha uno sviluppo di tutto rispetto, anche all’estero, è ispirata alla responsabilità sociale di impresa, personalistica e comunitaria. Fucina di designers architetti progettisti tutti entrati nella storia della cultura italiana e internazionale. In un angolo del Piemonte che si pensava sperduto dalle parti della grande Torino, con i suoi Agnelli e Fiat.

Si ha poi e infine il periodo della “Conservazione”: Adriano non c’è più, ugualmente la meccanica è stata fatta superare dall’elettronica. Nel 1978 sopravviene una nuova proprietà. Man mano il baricentro da industriale diventa finanziario; per Silmo, ecco la dispersione di un capitale innanzitutto umano e la reclinante sorte finale, firmata da Carlo De Benedetti, l’”olivetticida”. A chi conosce più o meno bene le umane e storiche vicende degli Olivetti e della Olivetti, la Storia breve di Giuseppe Silmo darà completamenti e conferme, a chi non ne sa se non per sentito dire, trasmetterà il senso e le ragioni di una passione per una realtà che non fu solo industriale, fu soprattutto una storia di uomini e del loro lavoro eccezionale in un arco di settant’anni.

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